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Samuele Robbiano, simbolo del crollo del Ponte Morandi.

La giustizia, nel suo processo di ricostruzione della verità e di riparazione del danno, si è focalizzata su un singolo, indicativo tassello della tragedia del Ponte Morandi: la perdita di Samuele Robbiano, un bambino di otto anni, una delle quarantaquattro vite spezzate il 14 agosto 2018.

Questa scelta non è casuale, ma riflette una profonda riflessione sulla responsabilità umana e sulle conseguenze devastanti di un sistema fallace.

La Procura di Genova, guidata dai magistrati Walter Cotugno e Marco Airoldi, ha costruito l’impianto accusatorio attorno a questa perdita irreparabile, elevandola a simbolo della catena di omissioni e negligenze che hanno condotto al crollo.

La richiesta di pesanti condanne, in particolare nei confronti di Giovanni Castellucci, l’ex amministratore delegato di Autostrade, non è una mera applicazione del diritto penale, ma un tentativo di restituire dignità a una vittima innocente e di interrogare a fondo le fondamenta del sistema di gestione delle infrastrutture.
Il caso Morandi trascende la dimensione del singolo crollo.
È un monito sulla fragilità dei sistemi di controllo, sulla pressione economica che può compromettere la sicurezza e sulla necessità di una cultura della responsabilità che coinvolga tutti gli attori, dai progettisti agli amministratori, dagli organi di vigilanza ai politici.
La morte di Samuele incarna la drammaticità di un fallimento collettivo, un fallimento che ha privato una famiglia, una comunità, un’intera nazione di un futuro possibile.

La Procura ha, di fatto, scelto di declinare la complessità del caso Morandi attraverso la lente della vulnerabilità infantile, sottolineando l’inaccettabilità di una perdita così ingiusta.
La richiesta di condanne severe non è solo un atto di giustizia per Samuele e la sua famiglia, ma anche un imperativo morale per il Paese, un’occasione per ripensare il ruolo dello Stato nella tutela della sicurezza dei cittadini e per garantire che una tragedia simile non si ripeta mai più.
Il processo, dunque, non è solo un giudizio sui colpevoli, ma un’occasione per una profonda riflessione collettiva sulla responsabilità, la trasparenza e la priorità assoluta da assegnare alla salvaguardia della vita umana.

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