Il caso giudiziario che ha visto il Tribunale Civile di Monza condannare la Fondazione Monza e Brianza per il Bambino e la sua Mamma (ora parte integrante dell’IRCCS San Gerardo) a un risarcimento di 4,6 milioni di euro, solleva questioni di profonda rilevanza etica, medica e giuridica riguardanti la responsabilità professionale e il diritto alla salute.
La vicenda, che coinvolge un giovane paziente nato nel 2011, evidenzia la tragica conseguenza di un ritardo diagnostico in una malattia metabolica rara e potenzialmente devastante.
L’iperammoniemia, specifica condizione metabolica (difetto del ciclo dell’urea) che affligge il ragazzo, è caratterizzata da un accumulo anomalo di ammoniaca nel sangue, una sostanza altamente tossica per il sistema nervoso centrale.
La gravità della patologia risiede nella sua capacità di provocare danni neurologici permanenti, compromettendo irreversibilmente la qualità della vita del paziente.
La cartella clinica del bambino, fin dalle prime settimane di vita, segnalava esplicitamente la presenza di potenziali fattori di rischio metabolico, un campanello d’allarme che purtroppo non ha generato un’azione diagnostica tempestiva.
Il verdetto del giudice non si limita a riconoscere la responsabilità della Fondazione, ma sottolinea l’impatto drammatico che un ritardo di soli tre giorni nella diagnosi ha avuto sullo sviluppo neurologico del minore.
I periti del Tribunale hanno espresso pareri convergenti: un intervento terapeutico, basato su una corretta somministrazione di farmaci, introdotto anche solo 12 ore prima del collasso, avrebbe potuto scongiurare il quadro clinico attuale, permettendo al ragazzo di condurre una vita sostanzialmente normale.
L’episodio inquadra un problema più ampio, quello della difficoltà nel riconoscimento precoce di malattie rare e metaboliche, spesso caratterizzate da sintomi iniziali atipici e aspecifici.
La complessità diagnostica, unita alla pressione dei tempi e alla potenziale mancanza di familiarità con tali patologie, può condurre a errori o ritardi che compromettono irrimediabilmente il futuro del paziente.
Questo caso serve da monito per l’intera comunità medica, sollecitando un continuo aggiornamento professionale, una maggiore attenzione ai segnali di allarme e un approccio proattivo nella valutazione dei rischi metabolici nei neonati e nei bambini.
La sentenza, al di là dell’aspetto economico del risarcimento, rappresenta un riconoscimento del diritto fondamentale alla salute e un invito a garantire standard di cura elevati, finalizzati a prevenire e mitigare il rischio di danni irreversibili.
L’attenzione ai dettagli, la capacità di collegare apparenti discrepanze cliniche e la rapidità d’azione sono elementi cruciali per proteggere la salute dei più vulnerabili.






