L’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di tre ultras, coinvolti nell’efferato agguato al pullman dei tifosi della Pistoia Basket, svela un quadro inquietante, ricostruito dalle parole stesse degli imputati e corroborato da testimonianze dirette.
Il gip Giorgia Bova, nel suo atto, ha evidenziato come i tre individui, fin dai momenti immediatamente successivi all’atto violento, abbiano manifestato un’evidente e disturbante soddisfazione per le azioni compiute, descrivendole con termini che denotano una spietata mancanza di rimorso e una consapevolezza agghiacciante della gravità del loro gesto.
Le dichiarazioni, trascritti dalle testimonianze di cinque persone presenti, dipingono un’immagine di una dinamica ben più complessa di un semplice atto di vandalismo.
Non si tratta solo della distruzione fisica del pullman, con i vetri in frantumi, ma di una celebrazione quasi rituale della violenza.
La frase “Li abbiamo distrutti, li abbiamo sfondati, ce danno omicidio a tutti” non è un semplice sfogo, ma una dichiarazione di intenti, un’affermazione di responsabilità che rivela un’inquietante partecipazione morale all’evento tragico.
L’ordinanza del gip non si limita a descrivere l’azione materiale, ma indaga la sua dimensione psicologica, cercando di comprendere la mentalità che ha portato a un gesto tanto brutale.
La consapevolezza della “natura” dell’azione, come sottolinea il gip, suggerisce un’assenza di spontaneità o di impulso incontrollato.
Al contrario, l’atto appare premeditato, frutto di una logica distorta e di un’ideologia che esalta la violenza come strumento di affermazione e di rivalsa.
Questo elemento della “piena consapevolezza” è cruciale perché implica che gli ultras non si sono limitati a compiere un atto violento, ma ne hanno compreso appieno le conseguenze, accettando, implicitamente, la responsabilità di un gesto che ha portato alla perdita di una vita umana.
La frase, esplicita e inequivocabile, trasforma le loro parole in una confessione indiretta, un’ammissione di colpa che rafforza il quadro indiziario a loro carico.
L’ordinanza del gip, dunque, non è solo un atto processuale, ma un documento che offre uno sguardo agghiacciante sulla sottocultura violenta che si annida in alcuni ambienti sportivi, un monito a contrastare con fermezza ogni forma di intolleranza e di aggressione.
L’indagine dovrà ora approfondire le motivazioni alla base di questo gesto efferato, cercando di comprendere le dinamiche sociali e psicologiche che hanno portato alla tragedia, al fine di prevenire il ripetersi di simili eventi e di proteggere la sicurezza di tutti.
La giustizia, in questo caso, deve essere non solo punitiva, ma anche preventiva e rieducativa.








