L’implacabile erosione del territorio italiano, un fenomeno che si manifesta con una velocità allarmante, pone serie interrogativi sul futuro del nostro Paese.
I recenti dati del Rapporto Consumo di suolo, elaborato da Ispra e Snpa, dipingono un quadro desolante: nel 2024, l’impronta antropica ha inghiottito 83,7 chilometri quadrati di suolo, un aumento del 15,6% rispetto all’anno precedente.
Il consumo netto, depurato dalla riqualificazione di aree, si attesta a 78,5 chilometri quadrati, il dato peggiore registrato negli ultimi dodici anni, segnando un declino inarrestabile della nostra capacità di preservare un bene cruciale.
Questa perdita non è semplicemente una questione estetica o paesaggistica; si tratta di una distruzione di un capitale naturale essenziale, un elemento vitale per la sopravvivenza dell’ecosistema terrestre.
Il suolo non è una risorsa inesauribile o facilmente sostituibile: è un sistema complesso e stratificato, risultato di millenni di processi geologici e biologici.
La sua perdita implica la perdita di una miriade di servizi ecosistemici irripetibili.
Il suolo funge da fondamentale filtro biologico, depurando l’acqua e l’aria.
È un serbatoio di biodiversità, ospitando una ricchissima comunità di organismi che contribuiscono alla fertilità e alla stabilità dell’ecosistema.
È un deposito di carbonio, cruciale per mitigare i cambiamenti climatici.
Infine, è la base della nostra sicurezza alimentare, fornendo la materia prima per l’agricoltura e, di conseguenza, per la nostra stessa sussistenza.
La sua funzione di regolatore dei cicli biogeochimici è insostituibile.
Un elemento particolarmente preoccupante è l’incremento del consumo di suolo agricolo, una perdita che compromette direttamente la nostra capacità di produrre cibo in modo sostenibile.
A fronte delle cause tradizionali – speculazione edilizia, espansione urbana – si aggiungono nuove pressioni, spesso celate sotto l’apparenza di soluzioni “verdi”.
L’espansione di infrastrutture logistiche, la costruzione di data center e, soprattutto, l’installazione di impianti fotovoltaici a terra rappresentano una minaccia crescente.
In particolare, l’impronta dei pannelli solari a terra ha eroso 1.702 ettari di suolo in un solo anno, con l’80% di questa superficie precedentemente destinata all’agricoltura, alimentando un paradosso insostenibile: la ricerca di energia rinnovabile a spese della fertilità del suolo.
La necessità di un cambio di paradigma è urgente.
Il suolo non deve essere considerato un mero elemento di bilancio, una risorsa da sfruttare, ma un bene comune, un patrimonio da proteggere e valorizzare.
È imperativo un inventario completo delle infrastrutture e costruzioni abbandonate, riutilizzabili e recuperabili, per ridurre la pressione sulla terra vergine.
Un approccio integrato, che coniughini politiche di pianificazione territoriale rigorose, incentivi per l’agricoltura sostenibile e la promozione di tecnologie innovative per la produzione di energia rinnovabile che minimizzino l’impatto sul suolo, è essenziale per garantire un futuro sostenibile per le prossime generazioni.
La sfida è chiara: il nostro benessere e la nostra sopravvivenza dipendono dalla salute del suolo.








