Il Tardini contiene un’inaspettata frustrazione, un derby lombardo che si conclude in un pareggio senza particolari acuti, segnando una battuta d’arresto per le ambizioni di entrambe le squadre.
La sfida tra due dei più promettenti tecnici del campionato, Alessandro Cuesta e Nicolas Fabregas, si rivela un confronto tattico più che di spettacolo, un confronto dove la prudenza e la ricerca di una solida difesa prevalgono sull’audacia e l’iniziativa.
Il Como, reduce da una vittoria esaltante contro la Juventus, mostra una versione inaspettatamente cauta, quasi smarrita.
La dinamicità e il gioco offensivo che avevano caratterizzato il recente passato sembrano appannati, soffocati da un approccio eccessivamente difensivo.
Per Cuesta, l’emergenza in attacco si fa sentire.
L’assenza contemporanea di Almqvist, Oristanio e Ondrejka priva la squadra di opzioni preziose in fase creativa e di infiltrazione.
La risposta tattica è un riadattamento a un modulo più conservativo, il 4-4-2, che sacrifica fluidità a discapito della solidità.
Bernabè, incaricato di occupare la posizione di esterno destro, si trova a svolgere un ruolo prevalentemente difensivo, mentre la coppia Cutrone-Pellegrino, in funzione offensiva, fatica a trovare spazi e a generare pericoli concreti.
L’andamento della partita riflette una reciproca difficoltà a imporre il proprio gioco.
Entrambe le squadre sembrano studiare a distanza, evitando rischi e privilegiando la copertura difensiva.
La mediana, priva di quella vivacità necessaria per innescare manovre offensive, diventa il fulcro di un blocco che strozza ogni tentativo di accelerazione.
Il pareggio, alla fine, appare il risultato più logico, quasi inevitabile, di una partita dove l’intensità e l’entusiasmo sono stati sacrificati sull’altare di una prudenza eccessiva.
Questa partita non è solo una battuta d’arresto in termini di punti, ma anche una riflessione sul percorso di entrambe le squadre, sulla necessità di trovare un equilibrio tra ambizione e concretezza, tra spettacolo e risultati.
La lezione è chiara: anche i talenti più brillanti, senza la scintilla dell’audacia e della creatività, rischiano di rimanere intrappolati in una spirale di mediocrità.







