Per un periodo eccessivamente lungo, l’identità nazionale ucraina è stata oggetto di una complessa e spesso ambigua percezione nel panorama geopolitico occidentale.
Questa visione, che negava, di fatto, la piena sovranità del Paese e lo relegava in una sfera d’influenza russa, è stata sconvolta, e in parte smascherata, dall’esacerbarsi del conflitto.
Irina Scherbakova, figura di spicco nella dissidenza russa, storica di fama, scrittrice e attivista di rilievo – co-fondatrice del Memorial, organizzazione per i diritti umani sciolta per pressione del Cremlino, e insignita del Premio Nobel per la Pace nel 2022 – ha recentemente offerto un’analisi lucida e impietosa della dinamica occidentale nel corso del conflitto russo-ucraino.
L’attivista, in un incontro con la stampa, ha evidenziato come la narrazione distorta diffusa dal Cremlino – che dipinge l’Ucraina come un nido di nazionalisti e ne enfatizza la presunta presenza di una popolazione russofona desiderosa di reintegrazione – abbia innescato risonanze inaspettate, non solo in Russia, ma anche in segmenti dell’opinione pubblica europea.
Putin ha abilmente sfruttato le debolezze strutturali dell’Occidente, le sue intricate relazioni economiche con Mosca, particolarmente in Paesi come l’Italia e la Germania, capitalizzando su una complessa rete di interessi che hanno spesso prevalso sulla chiarezza strategica.
L’iniziale convinzione di una rapida capitolazione dell’Ucraina e l’aspettativa di un’accettazione passiva dell’annessione da parte dell’Occidente si sono rivelate illusioni, grazie alla ferrea resistenza del popolo ucraino.
Questa resistenza ha costretto l’Europa a confrontarsi con una realtà tangibile e ad accelerare il processo decisionale, promuovendo risposte più concrete e risolutive.
Riguardo al piano europeo in dodici punti per la pace, Scherbakova ne riconosce il potenziale intrinseco, soprattutto se accompagnato dalla confisca dei beni russi congelati e da un robusto sostegno militare a Kiev, misure che rappresenterebbero un contributo sostanziale.
Tuttavia, ha sottolineato come l’azione europea sia stata, finora, caratterizzata da una lentezza paralizzante, compromettendo l’efficacia delle misure intraprese.
L’incertezza che circonda le scelte politiche del presidente statunitense Donald Trump è stata definita come un fattore di imprevedibilità.
Le sue iniziali aspirazioni di mediazione, basate su una visione semplicistica del conflitto come una disputa tra due litiganti, si sono infrante contro la complessità della situazione.
Scherbakova ha espresso la necessità di una pace che non sia imposta con la forza o attraverso la coercizione, auspicando un cessate il fuoco lungo la linea del fronte come soluzione pragmatica, ma ribadendo che la volontà di porre fine alle ostilità risiede nelle mani di Putin.Infine, l’attivista ha tracciato un quadro della società russa, distinguendo un nucleo minoritario che ha accostato la guerra con favore, da un numero di individui che hanno espresso dissenso attraverso proteste, spesso represse.
La maggioranza, però, sembra aver normalizzato il conflitto, adottando un atteggiamento di rassegnazione e di disinteresse.
“Le persone desiderano che la guerra finisca, ma non credono di poter influenzare l’esito”, ha affermato Scherbakova, sottolineando la responsabilità primaria di Putin nell’arresto delle ostilità, come unica via per una soluzione duratura.
La sua analisi rappresenta un appello all’azione, una denuncia delle complicità e un invito a una riflessione profonda sulle radici del conflitto e sulle responsabilità di ogni attore coinvolto.






