L’istanza di dedicare la Casa Circondariale di Brindisi alla figura di San Bartolo Longo si configura come un gesto di profonda valenza simbolica e concreta, un’eco di speranza e redenzione che risuona tra le mura di una struttura spesso percepita come limite e chiusura.
L’iniziativa, promossa congiuntamente dall’ASL di Brindisi e dall’associazione “L’Isola che non c’è”, mira a riconoscere il patrimonio morale e civile di un uomo che ha incarnato l’incarnazione della carità cristiana e un modello di giustizia sociale, rivolgendosi al Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, e al Prefetto di Brindisi.
San Bartolo Longo, nato a Latiano nel 1841, non fu solamente un cittadino illustre, ma un architetto di ponti tra l’emarginazione e l’integrazione, tra la disperazione e la possibilità di rinascita.
La sua formazione, radicata nella cultura locale, lo forgiò in un uomo profondamente sensibile alle sofferenze altrui, un uomo capace di trasformare la realtà attraverso l’azione concreta e la fede incrollabile.
La scelta di San Bartolo Longo come patrono dei detenuti non è casuale.
Il suo impegno a Pompei, dove fondò un complesso di istituzioni dedicate all’accoglienza, alla formazione professionale e alla reinserimento sociale di ex detenuti, orfani e donne precedentemente incarcerate, testimonia la sua visione di una giustizia che non si limita alla punizione, ma si apre alla riabilitazione e al riscatto.
Le sue opere, concrete e lungimiranti, rappresentano un esempio di come la carità e l’attenzione al prossimo possano essere strumenti potenti per costruire una società più giusta e inclusiva.
Intitolare la Casa Circondariale di Brindisi alla sua memoria non si configura quindi come una mera formalità, ma come un atto di profonda riflessione sul significato della pena e sulla necessità di accompagnare i detenuti verso un futuro di dignità e possibilità.
È un invito a guardare oltre le sbarre, a riconoscere in ogni individuo la capacità di cambiamento e la potenzialità di riscatto.
Simboleggia un impegno concreto per promuovere percorsi di riabilitazione, formazione e reinserimento sociale, ispirandosi all’eredità di un uomo che ha dedicato la sua vita al servizio degli altri, testimoniando che la speranza, anche nei luoghi più oscuri, può sempre germogliare.
L’intitolazione rappresenta un monito costante per il personale penitenziario e una fonte di ispirazione per i detenuti, ricordando loro che la redenzione è possibile e che una nuova vita, costruita sulla dignità e sul rispetto, attende coloro che sono disposti a perseguirla.








