La vicenda, avvolta nella tragicità di una notte di Ferragosto, solleva interrogativi profondi sulla responsabilità professionale nel sistema sanitario e sulla tutela dei diritti dei pazienti.
Un uomo di 78 anni, manifestando sintomi acuti, si rivolge al pronto soccorso dell’ospedale Guzzardi di Vittoria, in provincia di Ragusa, confidando nella cura e nell’assistenza medica.
L’accoglienza, però, rivela una falla nel protocollo di intervento, con un infermiere che, operando senza il coinvolgimento del medico di guardia, somministra farmaci e, prematuramente, dichiara il paziente idoneo a rientrare a domicilio.
L’errore, di gravità incommensurabile, si concretizza in una diagnosi mancata: un aneurisma dell’aorta addominale, una condizione potenzialmente gestibile se diagnosticata tempestivamente, si rivela fatale, spegnendo la vita dell’uomo poco dopo il ritorno a casa.
La famiglia, sconvolta dal dolore e dalla rabbia, intraprende un’azione legale contro l’Azienda Sanitaria Provinciale di Ragusa, affidandosi allo studio legale Seminara e associati di Catania.
Il tribunale di Ragusa emette una sentenza di condanna nei confronti dell’Asp, quantificando il risarcimento danni a quasi un milione di euro, a favore della vedova e dei due figli del defunto.
La decisione si basa sul principio di responsabilità oggettiva dell’azienda sanitaria per le azioni dei propri dipendenti, anche quando queste si discostino in modo grave dalla corretta prassi professionale, superando i limiti delle mansioni assegnate.
Il tribunale qualifica la condotta dell’infermiere come “gravemente negligente,” ma respinge la richiesta dell’Asp di rivalsa nei suoi confronti e del medico, sottolineando che la decisione di citare in giudizio i sanitari coinvolti rientra nella discrezionalità del danneggiato.
La sentenza di primo grado suscita un contenzioso ulteriore.
L’Asp di Ragusa ricorre in appello presso la Corte d’Appello di Catania, ottenendo una parziale accoglimento: la corte rigetta il ricorso avanzato dagli eredi, ma accoglie la richiesta di rivalsa nei confronti dell’infermiere, ammettendo la possibilità per la struttura sanitaria di agire per recuperare quanto versato agli eredi.
La legge Gelli-Bianco, che disciplina la responsabilità medica, limita l’ammontare del risarcimento per l’infermiere, vincolandolo a parametri specifici legati al reddito professionale.
Il caso, ben oltre l’entità del risarcimento economico, rappresenta un monito per il sistema sanitario, evidenziando la crucialità di protocolli di intervento chiari, della supervisione medica costante e della formazione continua del personale sanitario.
La tutela della vita e della salute dei pazienti non può essere compromessa da omissioni o errori procedurali, e la responsabilità per tali mancanze deve essere attribuita con equanimità, a garanzia di un servizio sanitario efficiente e sicuro.
L’episodio pone, infine, un interrogativo etico: qual è il confine tra l’autonomia professionale e la responsabilità verso la collettività?







