La recente decisione del Consiglio Comunale di Settimo Torinese, che ha respinto la mozione per dedicare uno spazio pubblico a Sergio Ramelli, ha innescato una vibrante reazione da parte di CasaPound Italia.
L’atto, percepito come un deliberato ostacolo politico più che una valutazione tecnica, ha visto il movimento dare vita a una forma di protesta simbolica, ribattezzando di fatto la piazza antistante la biblioteca cittadina come “Piazza Sergio Ramelli”.
Il cuore della contestazione di CasaPound risiede nell’accusa di una profonda disomogeneità nel modo in cui la memoria delle vittime viene onorata.
L’amministrazione comunale, secondo il movimento, si trova di fronte a una scelta: celebrare la vita di un giovane strappato alla violenza politica o placare le sensibilità ideologiche di gruppi militanti.
La motivazione alla base del rifiuto, affermano, non è la volontà di commemorare una vittima innocente, bensì il fatto che il suo assassinio sia avvenuto per mano di attivisti legati a un’ideologia antifascista.
Questa lettura dei fatti rivelerebbe una gerarchia inquietante, dove alcune vite umane sono considerate “di serie A” e altre “di serie B”, a seconda delle affiliazioni politiche dei loro aguzzini.
L’azione di CasaPound si configura dunque come una denuncia di una forma di faziosità ideologica, un atto di “vigilaccheria” politica, volto a preservare un equilibrio precario tra il rispetto dovuto alla memoria di Sergio Ramelli e la necessità di non alienare il sostegno di gruppi estremisti.
L’intitolazione, secondo il movimento, non avrebbe rappresentato solo un riconoscimento postumo alla vittima, ma un’occasione di profondo significato civile: un gesto volto a condannare inequivocabilmente qualsiasi manifestazione di violenza politica, al di là di qualsiasi orientamento ideologico.
L’episodio solleva interrogativi cruciali sul ruolo delle istituzioni locali nella gestione della memoria collettiva e sulla loro capacità di interpretare i bisogni e le aspettative di una comunità complessa e spesso divisa da profonde fratture ideologiche.
La vicenda Sergio Ramelli, lungi dall’essere un semplice dissidio amministrativo, si rivela un microcosmo delle tensioni che attraversano la società italiana, interrogando i limiti del dialogo e della riconciliazione in un Paese ancora segnato dalle ferite del terrorismo e della violenza politica.







