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venerdì 7 Novembre 2025

Don Mattia Ferrari denuncia: tra diffamazione, migrazione e propaganda oscura.

Il caso che coinvolge don Mattia Ferrari, cappellano della ONG Mediterranea e da anni in prima linea nell’assistenza ai migranti, si configura come un’emersione complessa di dinamiche che intrecciano accusa di diffamazione, implicazioni geopolitiche e la dolorosa realtà dei flussi migratori nel Mediterraneo.

La denuncia, presentata dal sacerdote presso il tribunale di Modena, non è semplicemente una risposta a un attacco personale, ma un tentativo di illuminare un sistema di narrazioni e azioni che, secondo Ferrari, operano nell’ombra, alimentando un ciclo di sfruttamento e violenza.
L’identità dell’autore dell’account X, @rgowans, un uomo polacco di 56 anni con pregresse esperienze presso l’agenzia Frontex, rivela una potenziale connessione con strutture che, almeno teoricamente, dovrebbero garantire la sicurezza e la gestione delle frontiere esterne dell’Unione Europea.

Questa rivelazione aggiunge un ulteriore strato di gravità al caso, suggerendo la possibilità di un coinvolgimento, anche indiretto, di personalità e istituzioni che dovrebbero agire come garanti di diritti umani.

Ferrari, parlando ai giornalisti durante la prima udienza, ha ampliato la portata della denuncia, sostenendo che l’account X agisca come portavoce della criminalità organizzata libica.
La descrizione delle attività del profilo – la pubblicazione sistematica di materiale sulle milizie libiche, la diffusione di fotografie che umiliano e sminuiscono i migranti – dipinge un quadro inquietante di una macchina della propaganda che serve a delegittimare, demonizzare e, in ultima analisi, a giustificare abusi e violenze.

L’assenza di una risposta efficace da parte di terzi, per otto anni, evidenzia una preoccupante omissione da parte delle istituzioni e dei media, lasciando che questa narrazione tossica si diffonda impunemente.

La denuncia di Ferrari trascende la sfera del personale, diventando un appello alla responsabilità collettiva.
Il sacerdote sottolinea come l’assistenza umanitaria offerta a migranti e rifugiati li renda “veri protagonisti” di una lotta per la vita e la dignità, e come gli attacchi ricevuti siano un tentativo di soffocare quella resistenza.
L’auspicio è che questa vicenda stimoli un impegno politico più incisivo, affrontando le cause strutturali che alimentano la tratta di esseri umani e l’impiego di migranti in condizioni di schiavitù.

La questione non si risolve con una semplice condanna per diffamazione.

Richiede una profonda riflessione critica sul ruolo delle istituzioni, dei media e della società civile nella gestione dei flussi migratori, e una presa di posizione chiara contro le narrazioni che fomentano l’odio e l’intolleranza.

La battaglia di don Mattia Ferrari è, in definitiva, una battaglia per la verità e per la giustizia, una battaglia che chiama in causa l’intera comunità internazionale.

L’evento, quindi, si pone come un campanello d’allarme, invitando a un esame di coscienza e a un’azione concreta per proteggere i diritti umani e contrastare le reti criminali che prosperano sulla sofferenza altrui.

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