La sentenza d’appello, emessa dalla Corte d’Assise di Milano, ha ridotto la pena inflitta ad Alessia Pifferi a 24 anni di reclusione per il tragico decesso della figlia Diana, avvenuto nel luglio del 2022.
Questa decisione, pur significativamente inferiore alla condanna all’ergastolo proferita in primo grado, non annulla la gravità del crimine e le implicazioni morali e giuridiche che ne derivano.
La Corte d’Appello ha operato una complessa valutazione delle circostanze, concedendo ad Alessia Pifferi attenuanti generiche che hanno incrociato l’unica aggravante ritenuta applicabile: il legame di parentela con la vittima.
Questo esclude l’aggravante dei futili motivi, precedentemente considerata in sede di primo grado, e quella, ancora più rilevante, della premeditazione, che era stata anch’essa esclusa precedentemente.
La decisione riflette una ponderazione complessa, un tentativo di bilanciare la responsabilità penale della madre con la possibilità di una riabilitazione futura, anche se il gesto di privare un figlio delle cure essenziali e condurlo alla morte rimane un atto di estrema gravità.
La vicenda solleva interrogativi profondi sulla salute mentale della madre, sulle dinamiche familiari disfunzionali che potrebbero aver contribuito alla tragedia, e sulle responsabilità dello Stato nel garantire il benessere e la protezione dei minori vulnerabili.
L’abbandono di una figlia, la privazione di nutrimento e cure mediche, rappresentano una violazione dei diritti fondamentali del bambino e una frattura inestinguibile nel tessuto sociale.
La dichiarazione di Maria Assandri, madre di Alessia, “Sono mamma.
È mia figlia pure lei.
Non me la sento di commentare”, evoca un dolore personale immenso e una difficoltà estrema nel confrontarsi con la gravità delle azioni compiute dalla figlia.
La frase, breve e intensa, racchiude un conflitto interiore profondo, l’impossibilità di trovare parole adeguate per esprimere l’orrore e la sofferenza derivanti dalla perdita di una figlia, sia per morte che per le scelte che ne hanno determinato il destino.
La sua reazione silenziosa amplifica il peso emotivo della vicenda, ricordando che, al di là delle sentenze e delle procedure legali, c’è un dolore umano incolmabile.
La questione, in definitiva, non si esaurisce con la sentenza, ma apre una riflessione sulla necessità di rafforzare i sistemi di supporto per le famiglie in difficoltà e di garantire la protezione dei minori, prevenendo tragedie simili.








