La vicenda che avvolge la morte di Sharon Verzeni, avvenuta nella notte tra il 29 e il 30 luglio 2024 a Terno d’Isola, si è ulteriormente complicata con la deposizione di Moussa Sangare, il trentunenne detenuto con l’accusa di omicidio volontario.
La sua versione dei fatti, radicalmente diversa dalla confessione precedentemente rilasciata, ha introdotto elementi di forte incertezza e ha riaperto interrogativi cruciali nell’indagine.
Sangare, di fronte al tribunale di Bergamo, ha costruito una narrazione volta a distanziarsi dalla responsabilità del tragico evento.
La sua testimonianza si è dipanata attorno a un’immagine di passante indifferente, testimone involontario di una lite preesistente.
Afferma di aver assistito a una discussione animata tra la vittima e un individuo non meglio identificato, percependo immediatamente la potenziale escalation della violenza.
La sua presunta decisione di allontanarsi, accelerando la bicicletta, riflette, secondo le sue parole, un tentativo di evitare il coinvolgimento in una situazione potenzialmente pericolosa.
L’elemento più peculiare e inatteso della sua deposizione è la spiegazione fornita per l’abbandono dei vestiti e del coltello, trovati in seguito in un’area boschiva.
Sangare ha attribuito questo gesto a un episodio di paranoia, sostenendo di aver agito spinto da un irrazionale timore di essere compromesso da ciò che aveva visto.
Questa giustificazione, carica di ambiguità e potenzialmente interpretata come un tentativo di manipolazione processuale, ha suscitato lo scetticismo della pubblica accusa e ha fornito nuovi elementi di riflessione per la difesa.
L’incongruenza tra la confessione iniziale e la successiva testimonianza solleva interrogativi fondamentali sulla credibilità del detenuto e sulla correttezza delle procedure investigative.
La nuova versione dei fatti introduce una variabile complessa, richiedendo un’analisi approfondita delle prove fisiche, delle testimonianze di altri possibili testimoni e delle dinamiche psicologiche del presunto assassino.
La presenza di un secondo individuo coinvolto nella lite, come suggerito da Sangare, apre scenari inediti, necessitando di un’indagine volta a identificarlo e a chiarire il suo ruolo nella tragedia.
La vicenda, già gravata dalla drammaticità della perdita di una giovane vita, si configura ora come un intricato puzzle di dichiarazioni contrastanti, moventi oscuri e verità ancora da scoprire.
La giustizia, per poter operare in modo equo ed efficace, deve affrontare la sfida di discernere la verità in un contesto permeato dall’incertezza e dalla potenziale menzogna.
La testimonianza di Moussa Sangare, seppur contraddittoria, ha riacceso la speranza di una ricostruzione più completa e accurata degli eventi che hanno portato alla morte di Sharon Verzeni.







