La sentenza della terza sezione della Corte d’Appello di Bari ha segnato una revisione significativa delle condanne inflitte in primo grado ad Antonella Albanese e Nicola Basile, figure centrali nell’indagine della Procura barese che ha portato alla luce un quadro inquietante di presunto sfruttamento sessuale di minori.
L’inchiesta, protrattasi tra il 2021 e il 2022, ha coinvolto quattro giovani residenti a Bari e nei comuni circostanti, aprendo una ferita profonda nel tessuto sociale e sollevando interrogativi cruciali sulla vulnerabilità dei minori e sui meccanismi di controllo sociale.
La riduzione delle pene, pur non cancellando la gravità delle accuse, riflette una valutazione più complessa del caso da parte della Corte d’Appello, che ha preso in considerazione elementi finora solo marginalmente considerati nel giudizio di primo grado.
La pena inflitta ad Albanese è stata diminuita da tre anni e un mese a due anni e otto mesi, mentre quella di Basile, inizialmente fissata a tre anni e quattro mesi, si è assestata a due anni e dieci mesi.
Questa revisione non è una semplice riduzione numerica, ma un atto che implica una rilettura delle dinamiche che hanno portato allo sfruttamento di questi minori.
La decisione di sostituire la reclusione con la detenzione domiciliare – una misura che mira a bilanciare la necessità di punizione con la possibilità di riabilitazione e reinserimento sociale – testimonia la volontà di approcciare il caso con un approccio più orientato alla prevenzione e al recupero.
L’obbligo di ritirare il passaporto, inoltre, rappresenta una misura cautelare volta a impedire ulteriori contatti con le vittime e a garantire la sicurezza pubblica.
L’ordinanza prevede, infine, il risarcimento delle parti civili coinvolte.
Questo include non solo due delle vittime, ma anche un’associazione impegnata nella lotta contro la violenza sulle donne, sottolineando l’importanza del supporto a chi si occupa di assistere e proteggere le persone vulnerabili.
Il caso solleva interrogativi più ampi sulla protezione dei minori, sulla necessità di rafforzare i sistemi di allerta precoce e sulle responsabilità individuali e collettive nella prevenzione di tali crimini.
La sentenza, pur rappresentando un punto fermo nel percorso giudiziario, non può che stimolare una riflessione profonda sulle cause strutturali che favoriscono lo sfruttamento sessuale di minori e sulla necessità di un impegno continuo da parte delle istituzioni, delle forze dell’ordine e della società civile per contrastare questo fenomeno in tutte le sue forme.
La vicenda evidenzia, in ultima analisi, la fragilità dei confini tra libertà individuale e tutela della vulnerabilità, richiedendo un delicato equilibrio tra sanzione e opportunità di redenzione.







