Il dibattito sulla riforma della giustizia si è infiammato a Torino, preludio di una campagna referendaria destinata a polarizzare l’opinione pubblica.
Un convegno, organizzato dalla Camera Penale del Piemonte Occidentale, ha offerto un primo assaggio delle argomentazioni contrapposte, rivelando un profondo solco tra le diverse sensibilità del mondo legale.
L’aula si è trasformata in un microcosmo delle divisioni che caratterizzeranno il confronto nazionale, con un pubblico composto da avvocati e magistrati spaccato tra sostenitori e oppositori della riforma.
Enrico Grosso, figura di spicco del comitato per il “No”, ha acceso la discussione con un intervento che ha immediatamente suscitato reazioni contrastanti.
La sua argomentazione centrale verteva sulla potenziale erosione dell’indipendenza giudiziaria, con particolare riferimento al ruolo del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM).
Grosso ha espresso il timore che la riforma, alterando la composizione e le funzioni del CSM, possa rendere i magistrati vulnerabili a pressioni politiche, suggerendo implicitamente un parallelo con le controversie riguardanti i Centri di Permanenza Temporanea (CPR) in Albania.
L’ironica replica di Oliviero Mazza, docente di procedura penale, ha evidenziato l’effetto paradossale dell’intervento di Grosso, portandolo a dichiarare un voto favorevole alla riforma, pur riconoscendo, seppur velatamente, la validità della preoccupazione relativa all’indipendenza dei pubblici ministeri.
Un punto focale del dibattito è stato il meccanismo del sorteggio per la nomina di alcuni membri del CSM.
Secondo il comitato per il “No”, questa novità, lungi dall’essere un elemento di democratizzazione, avrebbe determinato la formazione di un organismo privo di competenze specifiche e di una visione condivisa.
Roberto Capra, presidente della Camera Penale, ha contrastato questa interpretazione, definendo la riforma non come un’imposizione ideologica di un governo di destra, ma come un tentativo di rafforzare l’imparzialità della magistratura, distanziandola dalle logiche di parte.
Ha sottolineato, inoltre, che una riforma di questo tipo era attesa da decenni, suggerendo che si tratti di un’evoluzione necessaria per il sistema giudiziario.
Flavia Panzano, giudice di Corte d’Appello e presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) del Piemonte, ha espresso invece profonde riserve, annunciando un impegno attivo nella campagna per il “No”.
Ha esortato i cittadini a informarsi adeguatamente, sottolineando che le implicazioni della riforma non riguardano solamente la comunità giudiziaria, ma l’intera società.
La sua difesa, lungi dal voler proteggere privilegi di casta, si fonda sulla convinzione che la riforma possa compromettere principi fondamentali dello stato di diritto e la separazione dei poteri.
Il convegno di Torino ha dunque offerto un’anteprima delle sfide intellettuali e politiche che attendono il paese.
Il referendum sulla giustizia si preannuncia come un momento cruciale per il futuro del sistema giudiziario italiano, e un banco di prova per la capacità dei cittadini di comprendere appieno le implicazioni di una riforma così complessa e delicata.







