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lunedì 17 Novembre 2025

Sciopero: tra diritto costituzionale e nuove restrizioni.

La proposta di obbligo di comunicazione preventiva per lo sciopero, avanzata da Fratelli d’Italia, solleva interrogativi profondi sul delicato equilibrio tra diritto costituzionale e gestione delle controversie sociali.

La misura, intesa come strumento per garantire la continuità dei servizi essenziali, rischia di erodere la libertà sindacale sancita dall’articolo 39 della Costituzione, un pilastro fondativo del nostro ordinamento democratico.

L’articolo stesso, infatti, riconosce il diritto di sciopero non solo come strumento di rivendicazione salariale, ma soprattutto come valvola di sfogo per le frustrazioni e le ingiustizie che possono accumularsi all’interno delle relazioni di lavoro.

Imporre una comunicazione preventiva, sebbene apparentemente innocua, introduce una forma di controllo che potrebbe dissuadere i lavoratori dall’attivare questo diritto, limitandone l’efficacia come strumento di pressione per ottenere migliori condizioni di lavoro e una più equa distribuzione della ricchezza.

Il timore è che l’obbligo di comunicazione possa portare a una sfilza di ricorsi pretestuosi da parte del datore di lavoro, con il rischio di inibire de facto l’azione sindacale.

Le informazioni fornite in anticipo potrebbero essere utilizzate per pianificare strategie di contrasto, per limitare l’impatto dello sciopero, o addirittura per individuare e penalizzare i lavoratori partecipanti.
Questo scenario non solo comprometterebbe la libertà sindacale, ma minerebbe anche la credibilità del processo di negoziazione collettiva, inducendo i lavoratori a ricorrere a forme di protesta più radicali e disruptive.
Parallelamente, la riproposizione della sanatoria del 2003, altra iniziativa promossa da Fratelli d’Italia, aggrava ulteriormente il quadro.

Questa misura, che permetterebbe la regolarizzazione di lavoratori in nero, pur perseguendo l’obiettivo di contrastare l’illegalità, rischia di svalutare il valore del contratto di lavoro e di creare una concorrenza sleale tra lavoratori regolari e irregolari, alimentando fenomeni di dumping salariale e precarizzazione.

L’insieme di queste proposte suggerisce una visione delle relazioni industriali improntata al controllo e alla limitazione del potere dei lavoratori, piuttosto che alla promozione di un dialogo costruttivo e alla ricerca di soluzioni condivise.

Un approccio di questo tipo rischia di inasprire le tensioni sociali, di aumentare il conflitto e di compromettere la stabilità del sistema economico e produttivo.
È necessario, dunque, un ripensamento profondo delle politiche del lavoro, basato sul rispetto dei diritti costituzionali e sulla promozione di un modello di sviluppo inclusivo e sostenibile, che riconosca il ruolo fondamentale dei sindacati come interlocutori privilegiati per la tutela dei diritti dei lavoratori e per la costruzione di un futuro migliore per tutti.

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