Per disinnescare l’odio, per risalire da un abisso di diffidenza e riscoprire la nostra umanità condivisa, è necessario intraprendere un percorso di profonda empatia, un’immersione nel cuore pulsante dell’altro.
La scrittura, in questo contesto, si rivela un potente strumento di conoscenza reciproca, una lente attraverso la quale possiamo osservare sfaccettature di noi stessi che altrimenti rimarrebbero oscure.
Raccontare storie non significa semplicemente narrare eventi, ma offrire un accesso privilegiato alle motivazioni, alle paure, alle speranze che animano l’esistenza umana.
David Grossman, figura di spicco nel panorama letterario internazionale, ha recentemente affrontato il tema della responsabilità intellettuale e del trauma collettivo durante la chiusura del festival “Radici”, un’iniziativa promossa dalla Fondazione Circolo dei lettori con il sostegno della Regione Piemonte.
La sua testimonianza, segnata da un profondo dolore e da una ferma volontà di cambiamento, ha generato una reazione controversa in Israele, dove l’uso del termine “genocidio” in riferimento alle azioni del suo stesso Paese ha suscitato sdegno e tentativi di silenziamento.
Grossman ha espresso il suo tormento di fronte a questa risposta, evidenziando la lacerazione interiore che lo attanaglia: amore per la sua terra e consapevolezza delle sue contraddizioni.
La sua denuncia non è un atto di tradimento, ma una forma di cura, un tentativo di smascherare le dinamiche di violenza e di oppressione che rischiano di soffocare la promessa di un futuro pacifico.
La sua è una voce che si leva contro la trasformazione di un sogno di rifugio e sicurezza in una realtà di fortificazioni e assedi.
Riflettendo sulla condizione sia degli israeliani che dei palestinesi, intrappolati in un ciclo di violenza e disperazione, Grossman sottolinea come la ricerca di una casa, di un luogo di appartenenza e di convivenza, sia ancora incompiuta.
Il suo sogno è quello di una trasformazione radicale, di una comunità in grado di accogliere la diversità, di superare le barriere dell’odio e di costruire un futuro condiviso.
Il festival “Radici” ha offerto una piattaforma di incontro e di dialogo, accogliendo un pubblico di 2.000 persone attraverso 34 appuntamenti con 60 ospiti.
L’impatto mediatico dell’evento, amplificato dai canali social, ha raggiunto un pubblico digitale vasto e diversificato, testimoniando la crescente necessità di un confronto aperto e costruttivo sui temi cruciali che affliggono il nostro tempo.
Il percorso verso la riconciliazione è arduo, ma la scrittura e il dialogo rimangono strumenti essenziali per illuminare la strada.







