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lunedì 17 Novembre 2025

Caso Bouzidi: appello contro la condanna, ombre sull’inseguimento.

La vicenda che coinvolge Fares Bouzidi, compagno di Ramy Elgaml, il giovane deceduto in un tragico incidente a Milano il 24 novembre 2023, solleva interrogativi profondi sulla legittimità dell’uso della forza e sul rapporto tra istituzioni e cittadini.

L’appello presentato dagli avvocati Debora Piazza e Marco Romagnoli contro la condanna a due anni e otto mesi di reclusione per resistenza a pubblico ufficiale, evidenzia una questione cruciale: la proporzionalità e la correttezza dell’azione dei carabinieri durante l’inseguimento che ha portato alla morte di Elgaml.

L’incidente, innescato da un inseguimento di circa otto chilometri tra via Ripamonti e via Quaranta, ha generato un acceso dibattito sull’opportunità di un intervento così pervasivo e aggressivo nei confronti di due giovani in sella a uno scooter.

La condanna in primo grado, emessa con rito abbreviato dal giudice Fabrizio Filice, si è basata su accuse di resistenza a pubblico ufficiale rivolte a Bouzidi.
Tuttavia, l’appello in corso contesta la validità di tale condanna, focalizzandosi non solo sulle dinamiche dell’incidente, ma soprattutto sull’atteggiamento dei militari coinvolti.
Le registrazioni delle dash cam e body cam, documenti inediti e cruciali nel processo, rivelano un linguaggio e un comportamento che trascendono i limiti del lecito e del doveroso.
Le espressioni usate dai carabinieri, ora oggetto di indagine, tradiscono un’aura di disprezzo, arroganza e una palpabile mancanza di rispetto verso i giovani inseguiti.

Si parla di un linguaggio denigratorio, di commenti sprezzanti e di un’evidente mancanza di empatia.
Questo atteggiamento, lungi dall’essere compatibile con l’esercizio imparziale e responsabile della funzione pubblica, configura un abuso di potere che ne mina la credibilità.

La difesa di Bouzidi, nell’atto d’appello, sostiene che i militari abbiano agito eccedendo i confini delle loro attribuzioni con atti arbitrari, invocando una specifica scriminante prevista dal codice penale.
L’ipotesi di un contatto fisico, uno “speronamento” da parte dell’auto di coda durante l’inseguimento, contribuisce a ricostruire un quadro in cui l’azione dei carabinieri risulta sproporzionata e potenzialmente causale dell’evento tragico.
È fondamentale sottolineare che i sei carabinieri coinvolti nell’inseguimento hanno agito come parti civili nel processo, ottenendo un risarcimento danni a carico di Bouzidi.
Questa circostanza alimenta dubbi sull’obiettività della ricostruzione dei fatti e sulla possibilità di un’indagine imparziale.
La Corte d’Appello è chiamata a valutare attentamente le prove, a soppesare le responsabilità e a definire i confini dell’azione delle forze dell’ordine, garantendo che il diritto alla libertà e alla sicurezza dei cittadini sia preservato e che il rispetto della dignità umana sia sempre prioritario.
Il caso Bouzidi non è solo una vicenda giudiziaria, ma un campanello d’allarme che invita a una profonda riflessione sul ruolo della polizia e sulla necessità di un controllo più rigoroso dell’uso della forza.

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