Il recente intervento dei Carabinieri Forestali del Nucleo CITES di Cagliari ha portato alla luce un caso emblematico di traffico illegale di avorio, coinvolgendo una donna di Muravera, sessantenne, che offriva in vendita manufatti di pregio.
La scoperta, che ha portato al sequestro di statuette, *netzukè* (piccole sculture giapponesi in avorio, anticamente utilizzate come fermagli ornamentali) e altri oggetti, solleva interrogativi cruciali sulla persistenza del bracconaggio e del commercio nero di specie protette, un fenomeno globale con ripercussioni devastanti per la biodiversità.
L’avorio, proveniente principalmente da elefanti, è oggetto di una regolamentazione internazionale rigorosa, sancita dalla Convenzione CITES (Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora).
Questo accordo, sottoscritto da oltre 160 nazioni, si pone come baluardo nella protezione della fauna e della flora minacciate di estinzione, mirando a bilanciare l’utilizzo sostenibile delle risorse naturali con la loro conservazione.
L’elefante, come ben noto, figura nell’Appendice I della Convenzione, che ne vieta la commercializzazione, salvo eccezioni attentamente controllate e giustificate da finalità di conservazione.
La gravità del caso non risiede solamente nella violazione delle normative nazionali e internazionali, ma anche nel simbolismo che esso racchiude.
Il commercio di avorio alimenta una spirale di distruzione che vede l’uccisione illegale di migliaia di elefanti ogni anno, decimando popolazioni già vulnerabili a causa della perdita di habitat, dei conflitti uomo-fauna e dei cambiamenti climatici.
La domanda di avorio, alimentata da mercati di nicchia e da una domanda culturale spesso legata a credenze tradizionali, incentiva il bracconaggio, con conseguenze tragiche per le comunità locali che dipendono da questi animali per la loro sussistenza e per l’equilibrio degli ecosistemi.
La donna, ora indagata per detenzione e vendita illecita di parti di specie protette a scopo di lucro, rischia una pena che può arrivare fino a due anni di reclusione e un’ammenda significativa.
Tuttavia, la risposta alla crisi della biodiversità non può limitarsi a sanzioni penali.
È necessario un approccio multidisciplinare che coinvolga governi, organizzazioni non governative, comunità locali e il settore privato, con l’obiettivo di rafforzare la protezione degli habitat, contrastare il bracconaggio, promuovere alternative economiche sostenibili per le comunità che vivono a stretto contatto con la fauna selvatica e sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della conservazione.
Il commercio illegale di fauna selvatica rappresenta un mercato nero da circa 23 miliardi di euro all’anno, posizionandosi al quarto posto tra le attività illecite globali, subito dopo traffico di armi, droga ed esseri umani.
Questo dato inquietante sottolinea la necessità di una cooperazione internazionale rafforzata, di strategie di contrasto innovative e di un impegno costante per disarticolare le reti criminali che prosperano sfruttando la sofferenza degli animali e la distruzione degli ecosistemi.
La tutela della biodiversità non è solo un imperativo etico, ma anche una condizione imprescindibile per la sopravvivenza del nostro pianeta.








