La vicenda del disastro di Rigopiano, l’hotel travolto da una valanga nel gennaio 2017 causando la perdita di 29 vite umane, continua a percorrere un intricato iter giudiziario.
Nell’appello bis, celebrato a Perugia su disposizione della Corte di Cassazione, il sostituto procuratore generale Paolo Barlucchi ha formulato una richiesta di condanna a tre anni e dieci mesi per sei dipendenti del servizio di Protezione civile regionale dell’Abruzzo.
Questo appello, successivo a sentenze precedenti che hanno visto accuse di disastro, lesioni e omicidio colposo, si concentra ora su una prospettiva cruciale: la responsabilità nell’omissione di misure preventive.
La Corte di Cassazione aveva già stabilito la condanna per falso a carico dell’allora prefetto Francesco Provolo, ma ha annullato le condanne dell’ex sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, di un tecnico comunale e di due tecnici provinciali, rimandando la loro valutazione a Perugia.
La richiesta di condanna del procuratore Barlucchi si fonda su una riflessione profonda e critica: l’imperativo della prevenzione.
La Corte di Cassazione ha sottolineato, con forza, che il disastro di Rigopiano era, in parte, evitabile.
Non si trattava di una semplice valutazione successiva al verificarsi dell’evento, ma di una responsabilità proattiva, un’analisi predittiva che avrebbe dovuto classificare l’area come sito valanghivo ben prima del disastro.
Questa classificazione avrebbe implicato restrizioni d’accesso, limitazioni all’utilizzo delle strutture, o addirittura il divieto di utilizzo durante i periodi a rischio.
Barlucchi, nella sua requisitoria, ha denunciato una lacuna culturale che affligge il Paese: una diffidenza, quasi una resistenza, nei confronti della prevenzione.
Sottolinea come la mancata implementazione di un sistema di classificazione valanghiva (CLPV) abbia avuto un ruolo determinante.
“Se fosse stata fatta, non sarebbe successo quanto accaduto,” ha affermato, evidenziando come l’assenza di questa procedura abbia privato la comunità di uno strumento essenziale per la protezione.
La mancata analisi dei segnali forniti dalla natura, la sottovalutazione dei rischi, rappresentano, secondo il procuratore, una grave omissione.
La richiesta di condanna si inserisce in un quadro più ampio di responsabilizzazione, che mira a superare una mentalità reattiva e abbracciare un approccio proattivo nella gestione del rischio.
Si tratta di una riflessione non solo per i protagonisti diretti della vicenda, ma per l’intero sistema di protezione civile e per l’amministrazione pubblica, invitati a ripensare le priorità e a investire in prevenzione come pilastro fondamentale della sicurezza collettiva.
La vicenda di Rigopiano rappresenta quindi un monito severo, un’occasione per rafforzare la cultura della sicurezza e per garantire che errori simili non si ripetano.
L’udienza prosegue con le dichiarazioni delle parti civili, che si attendono possano offrire ulteriori elementi per comprendere la gravità della tragedia e le responsabilità che ne derivano.








