Il processo di primo grado relativo al tragico deragliamento del Frecciarossa 1000 Milano-Salerno del 6 febbraio 2020, un evento che scosse profondamente il sistema ferroviario italiano, ha visto la Procura di Lodi, rappresentata dal sostituto procuratore Giulia Aragno, formulare richieste di condanna complessive per undici anni e tre mesi di reclusione.
Il sinistro, verificatosi alle prime luci dell’alba in prossimità del deviatoio 5 del Posto Movimento Livraga, in territorio basso lodigiano, solleva interrogativi complessi riguardanti la responsabilità umana e organizzativa in un settore cruciale per la mobilità nazionale.
L’inchiesta, avviata immediatamente dopo il disastro, ha portato alla luce una catena di eventi e negligenze che hanno concorso a determinare la tragedia.
Al centro delle accuse vi è la responsabilità di figure apicali e operative coinvolte nella gestione e manutenzione dell’infrastruttura ferroviaria.
La richiesta di pena più significativa, pari a due anni e dieci mesi, è stata rivolta a Valerio Giovine, all’epoca Direttore Produzione di Rete Ferroviaria Italiana (Rfi).
La sua posizione, di vertice in una struttura complessa, lo poneva a presidio di controlli e procedure che, a quanto emerso, non sarebbero stati adeguatamente implementati o monitorati, contribuendo in maniera determinante alla catena di eventi che portarono al deragliamento.
Particolare attenzione è stata riservata anche alle responsabilità legate alle attività di Alstom, azienda fornitrice di componenti critici per l’infrastruttura ferroviaria.
L’operaio accusato di aver manipolato i collegamenti elettrici di un attuatore per lo scambio ferroviario, modificandone la funzionalità con l’inversione di due fili, si trova a fronteggiare una richiesta di condanna di un anno e undici mesi.
Il ruolo del collaudatore, figura deputata a verificare la corretta installazione e il corretto funzionamento dei componenti, è stato oggetto di approfondita analisi: la richiesta di due anni di reclusione testimonia la gravità della sua presunta omissione, ovvero la mancata individuazione dell’errore di montaggio.
Il processo, che si configura come un caso emblematico in materia di sicurezza ferroviaria, non riguarda solamente l’accertamento delle responsabilità individuali, ma anche la necessità di una revisione più ampia dei protocolli e delle procedure di controllo, al fine di prevenire il ripetersi di simili tragedie.
La richiesta di condanna avanzata dalla Procura rappresenta un punto di partenza, ma la speranza è che l’esito del processo possa portare a un miglioramento sostanziale della sicurezza ferroviaria e a una maggiore tutela dei passeggeri.









