Le recenti e gravissime accuse mosse da un giornalista croato hanno scosso profondamente il panorama politico balcanico, costringendo il presidente serbo Aleksandar Vucic a respingere con fermezza il coinvolgimento suo e del governo serbo nella vicenda che si definisce, in modo inquietante, “Sarajevo safari”.
L’episodio, emerso di recente, ripropone un quadro agghiacciante di presunti cecchini, non solo italiani ma provenienti da diverse nazioni, che durante l’assedio di Sarajevo, negli anni ’90, si sarebbero recati nella capitale bosniaca con l’orrore di un intento ludico.
Si parla di ingenti somme di denaro versate per partecipare a queste macabre spedizioni di caccia, con bersagli tragicamente individuati tra la popolazione civile, inclusi donne e bambini.
La vicenda, se confermata, getta una luce sinistra e dolorosa sulle dinamiche complesse e laceranti dei conflitti nei Balcani.
L’assedio di Sarajevo, durato oltre tre anni, rappresenta una delle pagine più buie della storia europea recente, segnata da indicibili sofferenze, crimini di guerra e una devastante perdita di vite umane.
L’ipotesi che individui provenienti dall’esterno abbiano partecipato a queste atrocità, trasformando la città assediata in un campo di tiro, amplifica l’orrore e solleva interrogativi profondi sulla responsabilità individuale e collettiva.
L’atto di negare il coinvolgimento, come fatto dal presidente Vucic, è comprensibile, ma apre un dibattito cruciale.
Non si tratta solamente di un’accusa a un singolo individuo, ma di una riflessione sulla potenziale complicità e sulle reti di individui che potrebbero aver contribuito a perpetrare tali crimini.
L’indagine dovrà necessariamente focalizzarsi sulla verifica dei fatti, sull’identificazione dei presunti partecipanti e sulla ricostruzione delle dinamiche che hanno reso possibile una simile violenza.
La questione solleva, inoltre, un problema di memoria storica e di giustizia.
Le ferite della guerra nei Balcani sono ancora aperte e la ricerca di responsabilità, la necessità di riparazione e il processo di riconciliazione richiedono verità complete e imparziali.
Un’inchiesta approfondita e trasparente è essenziale per onorare la memoria delle vittime, per garantire che i colpevoli siano chiamati a rispondere delle loro azioni e per contribuire a costruire un futuro di pace e di fiducia reciproca nella regione.
La vicenda del “Sarajevo safari” rappresenta quindi un monito severo e un’opportunità per affrontare, con coraggio e determinazione, le ombre del passato, affinché non si ripetano mai più.
Il silenzio e l’indifferenza non sono opzioni percorribili.








