Sulla pietra miliare di via Bobbio, a Roma, si erge ora un’opera di Paolo Laika, un intervento artistico che interviene con forza nel tessuto urbano e nella coscienza collettiva.
L’installazione, collocata strategicamente di fronte a una scuola elementare, si presenta come un potente monito e un’accusa lacerante.
Al centro dell’opera troviamo la figura stilizzata di un bambino palestinese, segnata dall’assenza di un arto, una ferita visibile e dolorosa che simboleggia le conseguenze brutali e devastanti del conflitto.
Due gocce nere, resi con precisione e intensità, sgorgano dal suo volto, incarnando il dolore, la sofferenza e la perdita irreparabile che affliggono intere generazioni.
La composizione è completata da una scritta lapidaria, impressa con impeto: “Shame on you”.
Un’accusa diretta, un grido di sdegno rivolto a coloro che, secondo l’artista, sono responsabili o complici di atti di genocidio.
Non si tratta di un’accusa generalizzata, ma di un invito a una riflessione profonda sulla responsabilità individuale e collettiva di fronte alle atrocità.
L’opera di Laika non si limita a denunciare un evento specifico; è una riflessione più ampia sulla giustizia, sull’umanità e sulla necessità di opporsi all’indifferenza.
L’ubicazione strategica, di fronte a una scuola, amplifica il messaggio, chiamando all’attenzione dei bambini, del futuro, e sollecitando una formazione basata sull’empatia e sulla consapevolezza storica.
L’intervento artistico, inevitabilmente, genera dibattito.
Solleva questioni delicate riguardanti la rappresentazione del dolore, la responsabilità artistica e i limiti dell’espressione politica nell’arte.
Tuttavia, il suo intento primario è quello di scuotere le coscienze, di stimolare la discussione e di ricordare che il silenzio, di fronte alle ingiustizie, è una forma di complicità.
L’installazione di Laika, quindi, non è solo un’opera d’arte, ma un atto di testimonianza, un grido di speranza in un mondo più giusto e umano, un invito a non dimenticare e a non restare indifferenti di fronte al dolore altrui.
È un’opera che chiede di essere vista, compresa, e soprattutto, che stimoli l’azione.








