Napoli, sogni oltre Gomorra: il film Avemmaria

A Napoli, l’ombra di Gomorra si allunga, ma non soffoca la possibilità di sognare.
Fortunato Cerlino, con il suo esordio cinematografico “Avemmaria”, un’opera autobiografica ispirata al suo libro “Se vuoi vivere felice”, dimostra come l’aspirazione possa germogliare anche nel terreno più arido.

Il film, presentato al Torino Film Festival, non è una semplice cronaca di degrado, ma una complessa narrazione di formazione, un viaggio introspettivo nell’infanzia di Felice (interpretato dal promettente Mario Di Leva).

Felice è un ragazzo segnato dall’ambiente circostante – povertà, violenza, un destino apparentemente già scritto – ma possiede una scintilla irriducibile: il sogno di diventare cantante di neomelodico.
Questo desiderio, questa fiamma interiore, viene nutrito da una figura chiave, una maestra illuminata che ne riconosce il talento, in netto contrasto con l’atteggiamento della sua famiglia.

Accanto a lei, una figura enigmatica, interpretata da Salvatore Esposito, funge da custode silenzioso, un angelo custode in un paesaggio urbano desolato.

Il motto popolare napoletano “Chi è nato tondo nun pò murí quadrato” risuona come un leitmotiv, incarnando la dicotomia esistenziale che attanaglia Felice: soccombere al peso del contesto o abbracciare la propria visione.
Il film non offre risposte semplici, ma esplora la complessità di questa scelta, la tensione tra l’eredità del passato e la possibilità di un futuro diverso.
Il cast, un mosaico di volti noti e nuove promesse, include Marianna Fontana, Carmine Borrino, Franca Abategiovanni e molti altri, contribuendo a creare un affresco vivido e autentico della realtà napoletana.
Cerlino, con una dichiarazione di intenti chiara, confessa di voler “sfidare gli spettatori” e rivelare che “oltre Gomorra c’è dell’altro”.
Il film non si propone come un mero atto di denuncia, ma come un’indagine profonda sul significato dei sogni, sulla loro capacità di redimere e, al contempo, gravare sulla coscienza.

Il sogno è un faro, ma la sua realizzazione implica una rottura con gli schemi, un atto di coraggio che si scontra con la resistenza del mondo.
L’accettazione del progetto da parte di Esposito è stata preceduta da una riflessione attenta: il personaggio doveva incarnare la fragile linea di confine tra gioia e dolore, amore e odio.
“Avemmaria” non è un film di facile lettura, ma un’opera universale che parla della necessità di fare pace con i propri demoni, un percorso individuale che, se intrapreso da tutti, potrebbe trasformare il mondo.
Il film, permeato di simbolismo e spiritualità, rivela una sensibilità artistica profonda.
Cerlino, fin da bambino, si sentiva irresistibilmente attratto dall’infinito, una dimensione che trascende la categoria astratta per incarnare una condizione intrinseca alla realtà.

L’esplorazione di testi sacri come la Bibbia e il Corano, insieme alla fascinazione per le teorie della fisica quantistica, nutrono la sua visione del mondo.

Il tempo, in questo contesto, non è una linearità inesorabile, ma una dimensione malleabile, capace di accogliere la compresenza di passato, presente e futuro.

“Avemmaria” è un omaggio alla maestra Giulia, una figura fondamentale nel percorso artistico di Cerlino.
La sua presenza non è stata solo una guida intellettuale, ma un atto di illuminazione, un gesto capace di rivelare la fragilità di una barriera invisibile, un muro che imprigiona l’anima.

I maestri, in questo senso, sono coloro che ci invitano a toccare questo muro, a comprenderne la permeabilità, a intravedere la possibilità di raggiungere la luna.

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