Il cielo plumbeo di Muggia ha accolto con una pioggia insistente il corteo funebre di Giovanni, il bambino di nove anni strappato alla vita in un atto di violenza incomprensibile.
Alle dieci del mattino, il feretro, avvolto in una bara bianca candida come l’innocenza perduta, è giunto in Duomo, preceduto da un carro funebre silenzioso.
L’immagine, carica di simbolismo, contrastava profondamente con l’orrore che si è consumato nelle vicinanze.
La piazza Marconi, teatro di questo lutto immenso, si è riempita di persone, un fiume umano di dolore e sgomento.
Tra loro, il padre di Giovanni, Paolo, figura spezzata e devastata, testimone di una tragedia che lo segnerà per sempre.
La presenza, pur silenziosa, parlava di un amore paterno infranto, di un futuro cancellato.
La pioggia battente, quasi un lamento del cielo, non ha dissuaso i cittadini di Muggia, e non solo, desiderosi di rendere omaggio al piccolo Giovanni.
Un cordoglio diffuso, un’esigenza collettiva di condividere il dolore, di stringersi attorno alla famiglia, pur nella consapevolezza dell’indicibile.
Paradossalmente, il Duomo, luogo di fede e speranza, si ergeva proprio di fronte all’abitazione che ha visto consumarsi l’omicidio, il 12 novembre.
Quel confine, quella vicinanza geografica, accentuava la drammaticità della situazione, la frattura tra la serenità domestica e la violenza inaudita.
Per un’ora, la chiesa ha offerto uno spazio di raccoglimento e preghiera.
Un’opportunità per il popolo muggesano di avvicinarsi al feretro, di offrire un ultimo saluto, di meditare sul senso della perdita, di cercare conforto nel dolore condiviso.
Il parroco, don Andrea Destradi, ha allestito una camera ardente, un luogo di memoria, un baluardo contro l’oblio.
Alle undici, don Andrea ha celebrato il rito funebre, un atto di fede nel trascendente, un tentativo di dare un senso a un evento che, nella sua irrazionalità, sembra negare ogni significato.
Il corteo funebre, poi, si è mosso verso il cimitero cittadino, un viaggio verso l’ultima dimora, un addio definitivo a un bambino che non avrebbe dovuto morire.
L’ombra della violenza, però, si allungava su Muggia, lasciando un segno indelebile nel cuore della comunità.
La ricerca di risposte e la necessità di elaborare un lutto così profondo avrebbero richiesto tempo e sostegno, per tentare di ricostruire un tessuto sociale lacerato dalla tragedia.








