Corruzione e traffici nel carcere Pagliarelli: arrestato il cantante Pandetta

L’inchiesta che ha colpito il carcere Pagliarelli di Palermo, con l’arresto del cantante neomelodico Niko Pandetta, nipote del noto boss catanese Turi Cappello, ha messo a galla una drammatica rete di corruzione e dinamiche di potere distorte all’interno dell’istituto penitenziario.
L’operazione, condotta congiuntamente dai Carabinieri e dalla Polizia Penitenziaria, ha rivelato un sistema consolidato di traffici illeciti, dove agenti penitenziari, corrotti da ingenti somme di denaro, facilitavano l’ingresso di stupefacenti e telefoni cellulari, compromettendo la sicurezza e l’ordine del carcere.
L’avviso di conclusione delle indagini, notificato a 35 dei 48 indagati, evidenzia la complessità del sistema criminale.

Oltre a Pandetta, sono coinvolti numerosi agenti penitenziari, tra cui Alfredo Abbate, Alessio Alario, Francesco Bertolino e molti altri, la cui condotta ha tradito il giuramento professionale e l’obbligo di garantire la sicurezza e la riabilitazione dei detenuti.

La decisione di deferire una decina di persone al giudizio immediato suggerisce la gravità delle accuse e l’urgenza di un rapido processo.
Le indagini hanno svelato un’economia criminale sommersa, dove i detenuti, grazie all’appoggio di agenti collusi, esercitavano un controllo quasi assoluto, imponendo regole proprie e ricavando profitti ingenti.

La violenza, con pestaggi e intimidazioni, era uno strumento per assicurarsi l’obbedienza e mantenere il controllo sui meno forti.

L’ordinanza del gip dettaglia un vero e proprio “listino prezzi” dei beni di contrabbando, con valori esorbitanti che testimoniano l’avidità e la spietatezza dei protagonisti.
Il costo di una singola canna di marijuana si aggirava intorno ai 20 euro, equivalente al prezzo di tre pacchetti di sigarette, mentre un grammo di hashish veniva venduto tra i 100 e i 150 euro.
Un grammo di cocaina, il bene più costoso, poteva raggiungere cifre tra le 500 e le 600 euro, riflettendo la sua elevata domanda e il suo alto valore sul mercato nero.
Il baratto di beni, come lo scambio di due canne di marijuana con 20-30 pacchetti di tabacco, ogni pacchetto a 6,70 euro, dimostra la sofisticatezza del sistema di ricambio.

L’accesso a un telefono cellulare, un privilegio essenziale per gestire i traffici e mantenere i contatti esterni, comportava una spesa di 500 euro.
Le cifre più allarmanti emergono dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che riferiscono guadagni mensili di 15.000 euro per alcuni individui coinvolti nel traffico.

Questo caso solleva interrogativi profondi sulla gestione del sistema penitenziario, sulla vulnerabilità dei suoi operatori alla corruzione e sulla necessità di rafforzare i controlli e i meccanismi di prevenzione.

L’inchiesta non è solo un’indagine su reati specifici, ma anche un campanello d’allarme che richiede una revisione radicale delle politiche di sicurezza e delle dinamiche interne ai carceri, al fine di tutelare la legalità, la sicurezza pubblica e il rispetto dei diritti dei detenuti.
L’episodio evidenzia la necessità di un profondo ripensamento del ruolo dell’agente penitenziario, non solo come esecutore di comandi, ma come figura chiave nella riabilitazione e reinserimento sociale dei detenuti, e come garante di un ambiente carcerario sicuro e rispettoso delle regole.

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