Rapimento a Mosca, sentenza shock: 16 anni per Umarov

BOLOGNA, 25 novembre – La sentenza che ha segnato una svolta nel complesso caso del rapimento di Stefano Guidotti, figura apicale della Siad, azienda leader nella produzione di gas tecnici industriali, è stata pronunciata dal giudice Roberta Malavasi.

Rinat Umarov, cittadino uzbeko di 44 anni, è stato condannato a sedici anni e otto mesi di reclusione, una decisione che conclude un’inchiesta intricata e solleva interrogativi su dinamiche aziendali e possibili contingenze geopolitiche.

Il sequestro, avvenuto nel cuore di Mosca il 28 giugno 2024, aveva scosso l’Italia e suscitato una forte preoccupazione a livello internazionale.
Guidotti, in qualità di capo dell’ufficio di rappresentanza in Russia per la Siad, era una figura chiave nelle relazioni commerciali del gruppo.

La sua sparizione improvvisa e la successiva liberazione, operata da forze speciali russe, avevano generato un clima di grande tensione e incertezza.
L’indagine, condotta congiuntamente dai Carabinieri del Ros e dallo Sco della Polizia, ha ricostruito un quadro complesso, individuando in Umarov, ex consulente della stessa azienda per cui lavorava Guidotti, il presunto architetto del piano criminale.

La sua pregressa esperienza all’interno della Siad, presumibilmente terminata in circostanze non chiarite, emerge come un elemento cruciale nel determinare la sua motivazione e la sua capacità di pianificare il rapimento.
L’accusa, rappresentata dal pubblico ministero Beatrice Ronchi, aveva inizialmente richiesto una pena di quindici anni, pur riconoscendo la gravità del reato di sequestro a scopo di estorsione.
Il processo, celebrato con la formula del rito abbreviato, ha consentito una più rapida definizione della vicenda.

Secondo gli elementi emersi dalle indagini, dopo il rapimento, Umarov avrebbe tentato di contattare la Siad, avvalendosi di un incontro nell’imolese con un manager dell’azienda, in realtà in contatto con le autorità di polizia.

Questo contatto mirava a negoziare i termini del riscatto, configurando un tentativo di estorsione che ha pesato sulla decisione del giudice.

Il secondo incontro, previsto per definire i dettagli del pagamento, non si è mai concretizzato a causa dell’intervento delle forze russe, che hanno arrestato i sequestratori.
La difesa, rappresentata dagli avvocati Gabriele Bordoni e Gino Bottiglioni, ha contestato l’imputazione, sostenendo la non responsabilità di Umarov nel crimine, o, in alternativa, la derubricazione del reato, minimizzando l’intento estorsivo.
La sentenza del giudice Malavasi, pur riconoscendo la complessità della vicenda e la necessità di accertare con precisione il ruolo di ciascun soggetto coinvolto, ha confermato la colpevolezza di Umarov, condannandolo ad una pena significativa.
Il caso solleva interrogativi sulla sicurezza dei dirigenti italiani operanti in contesti internazionali, la vulnerabilità delle aziende multinazionali e le possibili implicazioni geopolitiche di un crimine di questa natura.

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