Un’operazione di ingegneria criminale transregionale ha scosso il sistema penitenziario italiano, rivelando un sofisticato sistema di comunicazione clandestina orchestrato a beneficio di detenuti affiliati alla ‘ndrangheta, rinchiusi in regime di massima sicurezza.
Le perquisizioni, condotte dalla Direzione Investigativa Antimafia (DIA) di Genova sotto la direzione della Procura Distrettuale Antimafia ligure, hanno interessato undici istituti penitenziari sparsi su tutto il territorio nazionale: Fossano, Ivrea, Alessandria, Cuneo, Tolmezzo, Chiavari, La Spezia, Parma, San Gimignano, Lanciano, Rossano e Santa Maria Capua Vetere.
L’indagine, che si avvale della collaborazione cruciale della polizia penitenziaria di Genova-Marassi, ha disvelato un’infrastruttura complessa, volta a eludere i controlli e a garantire ai detenuti la possibilità di mantenere contatti con l’esterno, sia con altri mafiosi liberi, sia con compagni di sventura incarcerati in altre strutture.
L’utilizzo di telefoni cellulari, alcuni di dimensioni micro, e di un numero considerevole di schede SIM (oltre 150 telefoni e 115 SIM), ha rappresentato l’elemento chiave per la trasmissione di informazioni e ordini, configurando una vera e propria rete di “ambasciate carcerarie” che ha alimentato l’attività criminale delle cosche.
Le SIM, acquistate in negozi di telefonia compiacenti, localizzati nel cuore storico di Genova, venivano intestate a persone di nazionalità straniera, spesso ignare del fatto di essere utilizzate per finalità illecite, creando un livello di opacità difficile da scardinare.
L’introduzione dei dispositivi all’interno dei penitenziari si realizzava attraverso due canali principali: la spedizione tramite pacchi, appositamente preparati per eludere i controlli, e la consegna durante i colloqui con i familiari, i quali, in molti casi, risultano essere anch’essi indagati per complicità.
L’operazione ha portato al sequestro di numerosi telefoni cellulari e alla conseguente analisi del traffico telefonico e telematico, fornendo elementi investigativi fondamentali per consolidare il quadro indiziario e accertare la piena responsabilità dei 31 indagati, accusati di introduzione di dispositivi, ricettazione aggravata e associazione mafiosa.
L’accusa si concentra sulla capacità dimostrata dai detenuti di trasformare il carcere, un luogo che dovrebbe rappresentare una barriera all’attività criminale, in un centro di comando e controllo per le loro attività illecite, minando la sicurezza dello Stato e la credibilità del sistema penitenziario.
L’indagine pone quindi l’accento sulla necessità di un’azione coordinata e capillare per contrastare la criminalità organizzata all’interno delle carceri e di ripensare le strategie di controllo e prevenzione.








