Scala, licenziamento per Palestina libera: vittoria in tribunale

La vicenda che coinvolge il Teatro alla Scala e la dipendente licenziata, risolta in favore della lavoratrice dal Tribunale del Lavoro, solleva questioni di profonda rilevanza sul delicato equilibrio tra libertà di espressione, diritto al lavoro e autonomia gestionale degli istituzioni culturali.
La sentenza, confermata dalla Cub (Confederazione Ufficio Sindacale), sancisce l’illegittimità del licenziamento, riconoscendone una natura politica, un elemento che ne inficia la legittimità secondo quanto evidenziato dal rappresentante sindacale Roberto D’Ambrosio.

Il fulcro della controversia risiede nel gesto della dipendente, che durante il suo turno di servizio, in un contesto di particolare tensione politica – in presenza della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e in occasione di un importante evento internazionale come la riunione della Asian Development Bank – aveva espresso il suo sostegno alla causa palestinese con un grido di “Palestina libera”.

La gestione di tale episodio da parte del Teatro, che ha portato al licenziamento della lavoratrice, è stata giudicata dal Tribunale come una lesione del diritto costituzionale alla libertà di opinione.

La decisione giudiziaria impone al Teatro alla Scala il risarcimento delle mensilità non percepite dalla lavoratrice dal momento del licenziamento fino alla naturale scadenza del contratto a termine, unitamente alle spese legali sostenute per la difesa in giudizio.
L’assistenza legale fornita dall’avvocato Villari ha giocato un ruolo cruciale nell’ottenimento di questo risultato.

La Cub sottolinea con forza che l’espressione di un’opinione politica, anche se veemente, non costituisce motivo valido per la risoluzione del rapporto di lavoro, soprattutto quando tale opinione viene espressa in un contesto pubblico ma non in maniera lesiva o offensiva verso terzi.

La Confederazione celebra la vittoria legale come un importante precedente, rafforzando la tutela dei diritti dei lavoratori di fronte a possibili ritorsioni dovute alle loro convinzioni politiche.
La Cub invita i lavoratori a rafforzare la propria mobilitazione, proponendo uno sciopero per il 28 novembre e una manifestazione nazionale a Milano il 29 novembre, in segno di solidarietà alla causa palestinese e a sostegno dei diritti dei lavoratori.

La conclusione, formulata dal rappresentante sindacale D’Ambrosio, suggerisce una via per evitare ulteriori contenziosi legali: il Teatro dovrebbe prendere in considerazione il riassorbimento della lavoratrice, non solo come gesto di riparazione ma anche come segnale di rispetto per la libertà di espressione e per la necessità di evitare future azioni legali.

L’episodio, al di là della sua conclusione giudiziaria, pone interrogativi più ampi sulla responsabilità delle istituzioni culturali nel garantire un ambiente di lavoro che promuova il dialogo, la diversità di opinioni e il rispetto dei diritti fondamentali.

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