Catania, riemerge l’ombra di Santapaola: omicidi e estorsioni

L’ombra di Benedetto Santapaola, storico capo della mafia catanese, si allunga ancora una volta su un drammatico episodio del 1990: il duplice omicidio degli imprenditori Alessandro Rovetta e Francesco Vecchio, perpetrato all’interno delle Acciaierie Megara.
La Procura generale di Catania, guidata dal procuratore Carmelo Zuccaro e dai sostituti Nicolò Marino e Giovannella Scaminaci, ha richiesto il rinvio a giudizio di Aldo Ercolano, presunto mandante dell’agguato e figura chiave nell’organizzazione mafiosa catanese subentrata all’arresto del padre.

La ricostruzione degli inquirenti, frutto di complesse indagini condotte dal nucleo di polizia giudiziaria interforze e dalla DIA di Catania, dipinge un quadro di spietata gestione del potere mafioso.

Aldo Ercolano, erede di un impero criminale, si configurerebbe non solo come esecutore materiale, ma come ideatore e organizzatore dell’azione, agendo in concerto con soggetti ancora in via di identificazione.
L’accusa, supportata da elementi investigativi consistenti, contesta a Ercolano l’aver orchestrato l’omicidio con premeditazione, aggravato da moventi abbietti e futili, volta a consolidare il predominio mafioso nel territorio catanese e a garantire ingenti profitti economici alla famiglia Ercolano e, più ampiamente, a Cosa Nostra.
Parallelamente all’accusa di omicidio, Ercolano è coinvolto in un articolato sistema di estorsioni.
Insieme al padre, già defunto e figura centrale nell’organizzazione criminale, avrebbe gestito la tangente estorta ad Alfa Acciai di Brescia, società proprietaria delle Acciaierie Megara.
Il piano estorsivo, si presume, fosse strutturato per garantire continui flussi di denaro destinati a diverse famiglie mafiose operanti a Catania, Caltanissetta e Palermo.
L’azione estorsiva, secondo l’accusa, si manifestò non solo attraverso minacce verbali, ma anche con intimidazioni concrete, come il ritrovamento di proiettili indirizzati a un dirigente delle Acciaierie e nel giardino della moglie di Rovetta, azioni volte a terrorizzare le parti offese e a forzare la loro acquiescenza.
Il tesoro estorto, stimato in un miliardo di vecchie lire, sarebbe stato versato in diverse tranche a partire da gennaio 1991.

Oltre ad Aldo Ercolano, la Procura ha richiesto il processo di ulteriori quattro imputati, accusati di concorso in estorsione aggravata dal reato di favoreggiamento a Cosa Nostra.

Si tratta di Vincenzo Vinciullo, Antonio Alfio Motta, Francesco Tusa e Leonardo Greco.
A ciascuno di loro è stato attribuito un ruolo specifico nell’organizzazione estorsiva: Greco, l’organizzatore logistico, Tusa e Motta, i “riscossori” incaricati di recuperare il denaro, e Vinciullo, il “negoziatore” addetto a gestire i rapporti con Alfa Acciai.

L’esecuzione del piano estorsivo e l’omicidio, si presume, avvenne con la collaborazione di esponenti di spicco di Cosa Nostra, tutti ormai deceduti: Bernardo Provenzano, Pippo Ercolano, Nicolò Greco, Lucio Tusa e Luigi Ilardo, a testimonianza di un sistema di potere mafioso complesso e ramificato, che si è dimostrato capace di protrarsi nel tempo, lasciando un segno indelebile nella storia della Sicilia.

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