“C’era una volta.
Manuale di sopravvivenza per immagini” – un’esplorazione poetica sull’addioL’atto di morire: cosa si disperde per primo? Questa interrogazione, fulcro di “C’era una volta.
Manuale di sopravvivenza per immagini”, lo spettacolo scritto, diretto e interpretato da Noemi Francesca, con Michelangelo Dalisi, in scena al Teatro Nuovo di Napoli il 6 dicembre.
L’allestimento, insignito del Premio Nuove Sensibilità 2024, si configura come una co-produzione tra il Premio Leo de Berardinis, promosso dal Teatro di Napoli, e Nuove Sensibilità 2.0 del Teatro Pubblico Campano, guidato da Alfredo Balsamo.
Più che una rappresentazione teatrale, si tratta di una meditazione visiva, un’immersione in un tempo sospeso, dilatato, dove il confine tra memoria, immaginazione e percezione si dissolve.
Lo spettacolo adotta una prospettiva inedita e profondamente umana: il punto di vista soggettivo di un uomo che affronta la fase terminale della sua esistenza.
Attraverso i suoi occhi – uno sguardo ultimo, fragile e penetrante – emergono figure care, parenti e amici, non come semplici presenze, ma come apparizioni quasi fiabesche, incarnazioni di archetipi emotivi che illuminano l’intero percorso di una vita.
Lo spettacolo si dispiega come un film, tessendo insieme i frammenti preziosi dei filmati di famiglia con il linguaggio simbolico delle fiabe.
Questa giustapposizione non è mera decorazione, ma un’esigenza intrinseca.
L’infanzia ci insegna che le fiabe sono il primo strumento per dare un senso all’ignoto; la vicinanza della morte riaccende lo stesso bisogno primordiale.
Nel momento del commiato, le figure care assumono una qualità fantastica, i tratti reali si trasformano in rappresentazioni originarie, rivelando l’essenza dei momenti condivisi.
Si crea un’immagine circolare, un continuum che connette l’essere all’essere stato.
“C’era una volta.
Manuale di sopravvivenza per immagini” non si pone l’obiettivo di rappresentare la morte, ma di sondare la profondità dell’esperienza umana che la circonda.
È un viaggio che, paradossalmente, si trasforma in una fiaba proprio quando tutto sembra dissolversi, un racconto che continua a parlare di vita, di connessioni perdurate e dell’inevitabile transizione verso l’ignoto.
Uno spettacolo che interroga l’anima, invitando a riflettere sulla fragilità dell’esistenza e sulla potenza del ricordo.






