La recente vicenda, emersa a seguito di un’iniziativa promossa dall’Accademia Militare di Modena e successivamente resa pubblica dal Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, ha acceso un dibattito acceso e polarizzato che tocca temi cruciali per il rapporto tra istituzioni accademiche, forze armate e la definizione stessa del ruolo dell’università nella società contemporanea.
La proposta, mirante all’attivazione di un corso di filosofia dedicato esclusivamente agli allievi ufficiali dell’Esercito, è stata respinta dal Dipartimento di Filosofia dell’Università di Bologna, innescando una spirale di reazioni che ha coinvolto la Presidente del Consiglio e la Ministra dell’Università.
La decisione dell’ateneo bolognese, interpretata da alcuni come un atto di ostilità o un’espressione di ideologie restrittive, ha sollevato interrogativi fondamentali.
Non si tratta solamente di una questione formativa, ma di un riflesso delle tensioni che investono il ruolo dell’università, tradizionalmente concepita come luogo di libera ricerca e di formazione intellettuale, e del suo rapporto con le istituzioni statali.
La presunta preclusione di un’opportunità formativa per giovani ufficiali, se confermata, potrebbe configurarsi come una limitazione alla loro crescita culturale e professionale, privandoli di strumenti critici essenziali per l’esercizio delle loro funzioni.
La replica dell’Università di Bologna, pur ribadendo il principio di accesso libero ai corsi di studio per chiunque possieda i requisiti necessari, non ha placato le polemiche.
L’affermazione che l’ateneo non ha mai “negato” o “rifiutato” l’iscrizione a nessuno, pur tecnicamente corretta, appare insufficiente a dissipare il senso di ingiustizia e di esclusione percepito da chi ha proposto l’iniziativa.
L’esistenza di accordi ventennali per l’assegnazione di posti nel corso di Medicina Veterinaria, seppur positiva, non risolve il nodo cruciale dell’accessibilità a percorsi formativi specifici, mirati alle esigenze peculiari del mondo militare.
La presa di posizione della Ministra dell’Università, Anna Maria Bernini, con l’annuncio della realizzazione del corso e la proposta di un gruppo interforze delle università emiliano-romagnole, rappresenta un tentativo di mediazione e di superamento della situazione di stallo.
Questa iniziativa, se correttamente implementata, potrebbe favorire un dialogo più costruttivo tra atenei e forze armate, promuovendo la creazione di percorsi formativi innovativi e personalizzati, capaci di rispondere alle sfide del contesto geopolitico contemporaneo.
È fondamentale che tale gruppo di lavoro operi in piena autonomia e trasparenza, garantendo la massima libertà di ricerca e di espressione, per evitare che l’iniziativa venga percepita come un atto imposto dall’alto, potenzialmente controproducente per la promozione di una cultura accademica aperta e inclusiva.
La vicenda, pertanto, invita a una riflessione più ampia sul ruolo dell’università come motore di progresso civile e militare, e sulla necessità di bilanciare i principi di autonomia accademica e di servizio alla collettività.






