Il diciottesimo anniversario della scomparsa di Fabio Casartelli, avvenuta il 18 luglio 1995, continua a risuonare come un monito nel ciclismo mondiale.
La tragica caduta, avvenuta durante la quindicesima tappa del Tour de France sui Pirenei, non fu solo la fine prematura di un talento olimpico, campione a Barcellona ’92, ma anche un punto di svolta nella consapevolezza delle vulnerabilità intrinseche di uno sport che esalta la velocità e la competizione al limite.
Il presidente della Federazione Ciclistica Italiana, Cordiano Dagnoni, riflettendo su questo anniversario, sottolinea come, pur avendo assistito a significativi progressi nella sicurezza delle corse, l’eredità di Casartelli imponga un’incessante ricerca di miglioramento.
Non si tratta semplicemente di elencare le differenze tra le condizioni di sicurezza odierne e quelle del 1995, ma di comprendere il profondo cambiamento culturale che quella tragedia innescò.
Prima del 1995, la sicurezza era spesso relegata a una considerazione secondaria, un mero sottoinsieme delle necessità logistiche e organizzative.
Le strade percorse dai ciclisti, spesso sezioni stradali aperte al traffico, presentavano pericoli intrinseci: pavimentazione sconnessa, curve mal progettate, traffico intenso e scarsa segnalazione.
L’abbigliamento protettivo era rudimentale, e la comprensione dei rischi legati alle cadute, soprattutto in discesa, era meno sviluppata.
La morte di Casartelli catalizzò un movimento globale.
La Federazione Ciclistica Internazionale (UCI) fu spinta a implementare nuove normative, con un focus particolare sull’abbigliamento (caschi obbligatori), il controllo dei percorsi (valutazione dei rischi e segnalazione delle curve pericolose), e la formazione di medici e personale di soccorso.
L’introduzione di protocolli più rigorosi per l’omologazione dei percorsi, inclusa la verifica della larghezza delle strade e la gestione del traffico, rappresentò un passo fondamentale.
Tuttavia, Dagnoni evidenzia che la vigilanza non può allentarsi.
La ricerca di sicurezza non è una destinazione, ma un percorso continuo.
La velocità, elemento costitutivo del ciclismo, rimane una sfida intrinseca.
L’innovazione tecnologica, sia in termini di materiali per l’abbigliamento protettivo, che nella progettazione di biciclette più sicure (ad esempio, sistemi anti-caduta), deve essere costantemente perseguita.
Allo stesso modo, la consapevolezza dei ciclisti, dei team e degli organizzatori deve rimanere alta, promuovendo una cultura della sicurezza che permei ogni aspetto della disciplina.
L’eredità di Fabio Casartelli, quindi, non è solo un ricordo doloroso, ma un imperativo: continuare a lottare per un ciclismo più sicuro, un ciclismo in cui il talento e la passione non siano compromessi da rischi evitabili.
La sua scomparsa, tragicamente prematura, deve rimanere un motore inesauribile per l’innovazione e il miglioramento continuo.