lunedì 28 Luglio 2025
23.8 C
Rome

Toni Servillo a Giffoni: Silenzi, Sacrifici e l’Arte di Essere Attore

L’arte dell’attore, un viaggio irto di silenzi profondi, notti insonni e scelte ponderate, si rivela ai giovani di Giffoni attraverso il racconto vivido di Toni Servillo.

Più che una professione, un’immersione totale in vite altrui, un atto di umiltà che esige sacrificio e dedizione.
Servillo confessa, con disarmante onestà, l’emozione primordiale che lo assale ancora oggi prima di ogni rappresentazione, un tremore che riecheggia le parole del maestro Eduardo De Filippo, segno di una passione inestinguibile.
Ricorda un episodio rivelatore: la domanda di Louis Jouvet, luminare del teatro, a un giovane attore sul punto di entrare in scena: “Hai paura?”.

La risposta negata, secondo Jouvet, era solo una promessa, un presagio dell’angoscia che inevitabilmente arriverà, alimentata dal talento stesso.

Quando la routine soffoca la creatività, quando l’interpretazione si svuota di significato, è tempo di fermarsi, di riconoscere di non avere più nulla da dire.

Il sodalizio con Paolo Sorrentino, un legame che si estende per sette film, è presentato non solo come una collaborazione artistica, ma come un’unione profonda, un’intesa umana che ha radici nel reciproco rispetto e nella condivisione di una visione del mondo.

L’entusiasmo sul set, nonostante il tempo trascorso, rimane palpabile, testimoniando la forza di un rapporto costruito sull’autenticità.

Sorrentino, per Servillo, è un fratello maggiore, un confidente che ha saputo offrirgli opportunità inedite, concedendogli il ruolo di suo padre, un gesto denota una fiducia reciproca che va oltre il semplice rapporto professionale.

L’attore sottolinea l’importanza di coltivare la curiosità, motore di un’arte sempre viva e in evoluzione.

Ripercorre l’evoluzione de “L’Uomo in più”, dove Sorrentino ha dimostrato fin da subito il desiderio di esplorare la fragilità umana, il contrasto tra il successo effimero e il declino inevitabile.
Il cinema, secondo Sorrentino, deve essere specchio di una realtà spesso crudele, un monito a preservare il valore della vita, continuamente minacciato dalla superficialità e dalla violenza.
Servillo lamenta la progressiva erosione dell’esperienza teatrale, vittima di un sistema che privilegia l’intrattenimento domestico e dei contenuti, confinata, commerciale, che il in che e int, e che il se in in in in, a, in che int, di in che che int, de, i il a, in, de in a e a i in se d a, int, de e a in a e e in a, ” e che in in che a ” in che se che il int, il e ” in e ” che a e ” a e e int, e “e, intes e che” che “la che ” int e in” di int”, i in che che e o ” e il a che che ” un o il” e il a “di e in se i che in a i, di che in a i che il le.
Le prime le ed ed edServillo riflette sull’arte di interpretare figure reali, sottolineando la necessità di trovare un approccio originale che eviti la mera imitazione.

Il biopic, secondo lui, deve trascendere la biografia per diventare simbolo, icona di un’epoca.

E’ la capacità di dare vita a personaggi che sembrano tangibili, come Jep Gambardella, a riempire l’attore di orgoglio.
Infine, Servillo racconta la fortuna di aver sempre potuto scegliere i progetti che lo appassionano, privilegiando il legame umano e l’arricchimento intellettuale.
Rifiuta il mito del genio sregolato, esaltando il valore del lavoro quotidiano, della dedizione e del sacrificio, paragonandolo alla disciplina rigorosa di un atleta che si spinge al limite delle proprie capacità.

L’arte dell’attore, in definitiva, è un atto di coraggio, una sfida continua alla propria umanità.

- pubblicità -
- pubblicità -
- pubblicità -
- pubblicità -