La figura di Papa Francesco, con il suo incedere lento e solenne, sosta davanti alle Chiese orientali, come un araldo della speranza. Con il suo discorso, egli rivolge la sua attenzione verso un mondo trafitto dalla violenza, dove la guerra ha cancellato i confini e i nomi delle nazioni sono diventati solo sinonimo di dolore e distruzione. Egli parla della Terra Santa, quel luogo sacro che ha visto la nascita del Messia, ora sfigurata dal sangue e dalle lacrime; dell’Ucraina, dove il popolo, martoriato dai conflitti, sembra condannato a non trovare pace; del Libano, con le sue strade silenziose, che hanno visto l’ascesa di un caos senza precedenti; della Siria, ancora in preda alle ombre del passato e incapace di sconfiggere il nemico interno; del Medio Oriente, dove l’estremismo ha seminato morte e paura, facendo sprofondare nell’abisso delle tenebre una civiltà ricca di storia e arte; del Tigray, con le sue montagne che hanno assistito alla devastazione di un popolo intero e sono divenute testimoni della sua umiliazione; e infine del Caucaso, dove la guerra ha creato un vuoto tra i popoli e gli Stati, aprendo così la strada a nuove aggressioni.Eppure, in mezzo a questa abbondanza di violenza e morte, Papa Francesco si rivolge ai fedeli delle Chiese orientali con una parola semplice ma profonda: ‘Pace a voi!’. Non è un appello isolato, bensì il ripetersi dell’invocazione cristiana alla pace. È l’appello di Cristo stesso che continua ad urlare dal crocifisso e da quanti hanno vissuto il dramma della guerra, per una fine all’infinita serie delle aggressioni, affinché i popoli possano essere liberi dai fardelli della guerra. E in questo senso è un appello che non si rivolge solo alle Chiese orientali ma a tutti coloro che sanno di essere chiamati a dare vita ad una umanità più ricca e pacifica, capace di lasciare alle generazioni future un mondo migliore.