L’attenzione sul dibattito riguardante la legge sul fine vita, attualmente al centro della discussione nel Consiglio regionale sardo, non può limitarsi alla sola riflessione sulla “dignità della morte”.
Monsignor Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, ha espresso questa precisa presa di posizione durante un incontro presso la sede del gruppo editoriale L’Unione Sarda, sottolineando come la vera priorità debba essere la salvaguardia e la promozione della “dignità della vita” in ogni sua fase.
Il fine vita, nella visione di Monsignor Baturi, non deve configurarsi come un percorso volto all’auspicabile, ma come un’opportunità per elevare la cura della persona a un livello di eccellenza.
Questo implica un approccio olistico che consideri non solo il dolore fisico, spesso dominante nella narrazione pubblica, ma anche la sofferenza morale, esistenziale, spirituale che accompagna l’esperienza della malattia terminale.
Si tratta di affrontare la complessità intrinseca a questi momenti delicati con un impegno concreto e compassionevole, andando oltre la mera assistenza medica.
Le cure palliative rappresentano uno strumento cruciale, già disponibile, ma che in Sardegna necessita di un potenziamento significativo.
La regione, lamenta Monsignor Baturi, si colloca tra le ultime in Italia per l’accesso a questi servizi essenziali.
È imperativo, dunque, implementare piani territoriali organici e mirati, che garantiscano una distribuzione equa e capillare delle risorse.
Oltre alla palliazione del dolore, si rende necessaria un’integrazione di terapie specifiche per il trattamento del dolore cronico, la creazione di strutture dedicate come gli hospice, e un coinvolgimento attivo del terzo settore attraverso il volontariato e forme di assistenza che trascendano la cura puramente fisica.
L’impegno, pertanto, non deve essere interpretato come una legittimazione del diritto alla morte, bensì come la garanzia di condizioni che preservino la dignità del vivere, anche nell’ultima stagione dell’esistenza.
Questa è la responsabilità condivisa che investe l’intera comunità.
Monsignor Baturi evoca l’urgente necessità di costruire un’alleanza strategica e plurale, un patto sociale che coinvolga enti pubblici, istituzioni sanitarie, organizzazioni del terzo settore, la Chiesa e il mondo della cultura.
Solo attraverso una sinergia di competenze, risorse e sensibilità, sarà possibile offrire un accompagnamento dignitoso e personalizzato a coloro che si trovano ad affrontare la fragilità della vita, trasformando il fine vita da un momento di angoscia e solitudine in un’opportunità di cura, consolazione e speranza.
Questa alleanza deve incarnare un nuovo paradigma di assistenza, fondato sulla compassione, la solidarietà e il rispetto incondizionato della persona umana.