Il brusco arresto delle trattative che avrebbero dovuto sbloccare il mio futuro calcistico mi colse inizialmente con un sentimento di frustrazione, quasi di inganno percepito.
Un’istantanea di rabbia, un impulso che, in retrospettiva, riconosco come un riflesso della delusione per un percorso interrotto bruscamente.
Tuttavia, quella sensazione, intensa ma fugace, fu presto superata dalla consapevolezza di un impegno profondo, di un dovere nei confronti di una comunità che mi aveva accolto e sostenuto.
Abbandonare la Lazio in un momento di difficoltà mi sarebbe apparso un gesto scorretto, una mancata responsabilità verso coloro che avevano riposto in me la loro fiducia: la squadra, la società, il tifo appassionato che anima questa piazza.
L’inconveniente, la momentanea impasse, non potevano giustificare una fuga, un ripensamento basato sulla convenienza.
Le interpretazioni che hanno cercato di attribuire al mio ritorno, riducendolo a una scelta dettata dalla mancanza di opzioni, non rendono giustizia alla complessità della situazione.
Ho esplorato attivamente diverse opportunità, dialogando con quattro club di Serie A, valutando proposte da club arabi e sudamericani.
Non si è trattato di una rinuncia forzata, bensì di una ponderata analisi di scenari futuri.
La mia scelta per la Lazio è stata guidata da un legame che trascende la mera dimensione sportiva: un rapporto di affinità con l’ambiente, con la storia, con le persone che incarnano l’identità di questa squadra.
Ritornare a Formello è stato un momento di profonda soddisfazione, un ritorno alle radici di un percorso che sento ancora aperto, ricco di potenziale e di sfide stimolanti.
È la conferma di un senso di appartenenza che supera qualsiasi calcolo economico o prospettiva di carriera.
L’importanza della continuità, la lealtà verso chi mi ha sostenuto, hanno prevalso su ogni altra considerazione.
Il futuro si prospetta come un’opportunità per rafforzare questo legame e contribuire, con impegno e dedizione, al raggiungimento di nuovi traguardi.