Il paradigma del libero mercato globale, a lungo percepito come un dato di fatto, si sta sgretolando. L’illusione di un supermercato globale, dove merci e servizi fluiscono liberamente, si sta trasformando in una realtà più frammentata, assomigliante a una drogheria di quartiere, dove l’accesso è limitato e la provenienza incerta. Questa transizione, acuita dalle recenti politiche commerciali protezionistiche, pone l’Europa di fronte a una sfida cruciale: ridefinire il proprio posizionamento in un ordine mondiale in rapida evoluzione.Andrea Montanino, chief economist e direttore strategie settoriali e impatto di Cdp, durante il Festival dell’Economia di Trento, ha delineato un quadro complesso, segnato da quattro transizioni epocali che plasmano il nostro futuro: demografica, ambientale, digitale e, soprattutto, economica. La chiave per comprendere il ruolo dell’Europa non risiede tanto nella previsione del suo destino, quanto nella comprensione profonda della natura stessa del mondo che la circonda. Il suo andamento sarà determinato dall’esito di queste transizioni interconnesse, ognuna con implicazioni profonde e ramificate.Un elemento critico che emerge è la disarmante realtà della produttività italiana nei servizi a tecnologia avanzata. Rispetto ai principali competitor internazionali, l’Italia si attesta su livelli significativamente inferiori, erodendo la capacità competitiva del paese. La risposta immediata, spesso invocata, è la riduzione dei costi, in particolare quelli legati al lavoro. Tuttavia, questa strategia, sebbene perseguita con politiche di deregolamentazione del mercato del lavoro, rivela una visione miope e potenzialmente dannosa.La professoressa Pina Pacelli dell’Università di Torino ha evidenziato un trend preoccupante: una diminuzione progressiva della quota di PIL destinata al lavoro a favore del capitale, un fenomeno accentuato rispetto alla media europea. Questa polarizzazione non solo amplifica le disuguaglianze sociali, ma mina le fondamenta stesse della crescita economica sostenibile.Dal punto di vista macroeconomico, la compressione salariale si traduce in un drastico contenimento dei consumi, un fattore che soffoca la crescita e penalizza anche le aziende più virtuose. L’elevata incidenza del lavoro precario, inoltre, ostacola l’innovazione, limitando la formazione e la specializzazione della forza lavoro. Una classe lavorativa fragile e sottopagata non solo riduce la capacità produttiva delle imprese, ma crea un circolo vizioso in cui la stagnazione della produttività impedisce l’aumento dei salari, e viceversa.La vera sfida non è quindi quella di contenere i costi a tutti i costi, ma di investire nel capitale umano, promuovere l’innovazione e creare un ambiente favorevole alla crescita inclusiva, dove il lavoro non sia percepito come un costo da ridurre, ma come un fattore di sviluppo fondamentale. Riconquistare il ruolo di protagonista nell’economia globale richiede una visione strategica e coraggiosa, che superi gli approcci semplicistici e abbracci la complessità del mondo che ci attende.
Sgretolamento del libero mercato: sfide e transizioni per l’Europa.
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