25 maggio 2025 – 11:06
La recente tragedia che ha visto Ilaria Capezzuto responsabile della morte della sua compagna, Daniela Strazzullo, a Napoli, riapre una riflessione urgente e complessa sulla violenza di genere e le sue narrative spesso polarizzate. Mentre il termine “femminicidio” è ampiamente utilizzato per descrivere l’uccisione di una donna da parte di un uomo, spesso in un contesto di relazioni sentimentali, l’omicidio di una donna da parte di un’altra donna, purtroppo non raro, sembra suscitare un dibattito meno intenso e una ricerca meno approfondita delle dinamiche sottostanti.L’apparente asimmetria nella risposta pubblica e nell’analisi mediatica solleva interrogativi cruciali. È lecito chiedersi perché l’espressione “femminilità tossica”, che potrebbe fornire una cornice interpretativa per comprendere tali atti violenti, non trovi lo stesso spazio e la stessa risonanza del concetto di mascolinità tossica. Questo non implica minimizzare la gravità della violenza maschile, ma sottolinea l’importanza di un’analisi onesta e completa, che consideri la complessità del fenomeno senza generiche semplificazioni.La discussione non deve fermarsi alla mera contrapposizione di ruoli di genere, ma deve indagare le radici psicologiche e sociali che alimentano la violenza, indipendentemente dal sesso dell’aggressore. Un’educazione che esalta la vulnerabilità come valore supremo, a scapito della resilienza, della responsabilità e del controllo emotivo, può contribuire a creare un terreno fertile per comportamenti distruttivi. La debolezza, quando elevata a virtù, non prepara gli individui a gestire la complessità delle relazioni interpersonali e a risolvere i conflitti in modo costruttivo.L’assenza di un’adeguata formazione all’intelligenza emotiva, la difficoltà nell’esprimere i propri sentimenti in modo sano e costruttivo, e la mancanza di modelli di riferimento per