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Gervais a Milano: riso, provocazione e libertà di pensiero

Ritornare a ridere, a riscoprire l’irresistibile potere catartico della comicità libera, è un atto di resistenza.

Negli ultimi anni, in un clima spesso soffocante di moralismo e autocensura, si è assistito a tentativi di dettare confini al riso, di erigere barriere a ciò che poteva essere considerato “lecito” o “offensivo”.
Fortunatamente, queste imposizioni hanno trovato una forte opposizione, un rifiuto collettivo che ha permesso la riaffermazione della comicità come strumento di analisi, di provocazione e, soprattutto, di liberazione.

La recente performance di Ricky Gervais all’Unipol Forum di Milano, accolto da novemila spettatori, ne è una vivida testimonianza.

Gervais, recordman Guinness per l’incasso di uno spettacolo di stand-up e figura iconica grazie a sitcom come “The Office”, speciali Netflix e una carriera costellata di controversie, ha presentato “Mortality”, un lavoro che definisce il suo più personale e onesto.

Non si tratta di uno spettacolo sulla morte in sé, ma un’esplorazione acuta e spesso spietata del vivere.

L’ossessione per la fine, l’angoscia per l’ignoto, rischia di farci dimenticare la bellezza effimera e l’importanza di ogni singolo istante.

“Le cose belle sono pericolose,” afferma Gervais, con la sua consueta irriverenza, prendendo come esempio l’alcol, un piacere colpevole che, pur portando con sé rischi e conseguenze, ha permesso la nascita di innumerevoli vite, anche se alcune non prive di difficoltà.
La sua comicità, spesso tagliente, è un’arma a doppio taglio, volta a smascherare le ipocrisie dilaganti nella società.
L’analogia con la potenziale reazione a un grido d’aiuto di Anna Frank, un esempio estremo per denunciare il cinismo e la paura che spesso si celano dietro dichiarazioni di buon cuore, è una provocazione volta a sollecitare una riflessione profonda sul valore assoluto della libertà di parola.

“Da qualsiasi parte tu stia, dobbiamo concordare sulla libertà di parola, perché da lì derivano tutti gli altri diritti”.

Lo spettacolo, un caleidoscopio di argomenti disparati, spazia dalla vita di Stephen Hawking, un genio confinato in una sedia a rotelle parlante, alle macabre feste di Jeffrey Epstein, fino alle implicazioni etiche e sociali dell’intelligenza artificiale.
Gervais invita a non temere l’IA, suggerendo che, in caso di eccessiva problematicità, la soluzione potrebbe essere una semplice disconnessione, un’analogia cinica e personale.

Tocca temi delicati come il suicidio assistito, la religione, l’invecchiamento, ironizzando sulle misure di Jason Momoa e ricordando i cori dei tifosi dedicati a Elton John prima del suo coming out.

È un flusso di coscienza arguto e inarrestabile, un monologo che, pur nella sua apparente casualità, veicola un messaggio universale: non preoccuparti di ciò che accadrà dopo la morte, vivi intensamente il presente.
E Gervais, a modo suo, sembra incarnare questo principio.

Il suo ritorno alla comicità libera è un invito a non cedere al conformismo, a coltivare il pensiero critico e, soprattutto, a riscoprire la gioia di ridere, anche – e forse soprattutto – di ciò che ci mette a disagio.

Perché il riso, in fondo, è una forma di resistenza.

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