L’immagine, apparsa improvvisamente nel paesaggio urbano romano, è un atto d’accusa: un bacio simulato tra Adolf Hitler e Benjamin Netanyahu, opera della street artist Laika, pseudonimo di una figura che si dichiara portavoce di un’indignazione profonda. L’opera, intitolata ‘La Soluzione Finale’, non è un’allegoria innocua, ma un’esplicita evocazione del passato, un paragone deliberatamente scioccante volto a scuotere le coscienze e a denunciare le dinamiche geopolitiche contemporanee.Laika non si limita a creare un’immagine provocatoria; essa la accompagna con un’analisi tagliente, un’interpretazione che ambisce a collegare il genocidio perpetrato dal regime nazista con la situazione umanitaria in Gaza. L’artista sostiene che l’operazione militare israeliana, definita ‘Carri di Gedeone’, trascende la logica di una risposta militare, configurandosi come una vera e propria “pulizia etnica”, un tentativo sistematico di cancellazione del popolo palestinese. La conquista dell’81% della Striscia di Gaza, unita al blocco economico che ha portato la popolazione civile alla fame, trasformerebbe la regione in una prigione a cielo aperto, ormai ridotta a un cumulo di macerie e dolore. La deportazione dei sopravvissuti, secondo Laika, rappresenta la fase successiva di un piano di annientamento.L’artista non risparmia critiche al mondo occidentale, accusandolo di una profonda ipocrisia. La condanna delle azioni russe in Ucraina, contrapposta al silenzio assordante di fronte alle atrocità commesse in Palestina, evidenzierebbe una selettività di giudizio dettata da interessi geopolitici più che da principi di giustizia. Il sostegno economico e militare che l’Occidente fornisce a Israele, secondo Laika, rende l’Occidente complice del “genocidio palestinese”. Si rivolge direttamente alle comunità ebraiche, esortandole a dissociarsi dalle politiche di Netanyahu, sottolineando l’inconciliabilità tra la memoria dell’Olocausto e la perpetrazione di violenze simili.L’accusa si estende anche al governo italiano, accusato di contraddizione. Un’etichetta come “pro-vita”, si scontra con l’immobilismo di fronte alla morte di bambini innocenti, come nel tragico caso di Alaa al-Najjar, un medico pediatra e madre strappata alla vita con nove dei suoi figli da un missile israeliano. Questo singolo evento, secondo Laika, è simbolo di una perdita di umanità che mina le fondamenta stesse della democrazia e dei diritti umani.Laika conclude con un monito cupo: la distruzione di Gaza non è un evento circoscritto a quella regione, ma un presagio della fine della democrazia e della difesa dei diritti umani a livello globale. L’azione artistica diventa quindi un grido di allarme, un appello urgente a risvegliare le coscienze e a interrompere un ciclo di violenza che rischia di condannare l’umanità a un futuro ancora più oscuro. L’opera, al di là della sua provocazione, si pone come un’interrogazione sulla nostra capacità di imparare dal passato e di costruire un futuro basato sulla giustizia e sulla compassione.