L’emergenza della violenza contro le donne in Emilia-Romagna si rivela, con inquietante chiarezza, attraverso i dati raccolti dai centri antiviolenza regionali. Il quadro emerso durante il convegno “Il coraggio di contare?”, un’iniziativa promossa dal coordinamento dei centri antiviolenza stessi, sottolinea un elemento particolarmente allarmante: la violenza economica si configura come una componente strutturale del fenomeno, colpendo il 37% delle donne che hanno richiesto supporto nel 2024. Questa cifra, pari a 1.307 donne, non è solo un dato statistico, ma l’espressione di una profonda vulnerabilità economica che aggrava e perpetua le dinamiche abusive.La precarietà economica, infatti, non è una conseguenza secondaria, ma un fattore di rischio e un ostacolo alla libertà per molte donne vittime di violenza. Analizzando le condizioni economiche di chi si rivolge ai centri antiviolenza, emerge che meno del terzo (32,9%) dispone di un reddito sufficiente per l’indipendenza, mentre quasi il 40% fatica a sbarcare il conto e un quarto è disoccupato. Questa situazione critica si aggrava ulteriormente se si considera che, anche tra chi percepisce un reddito adeguato, una percentuale significativa (17,7%) vede la propria capacità di ricercare o mantenere un impiego deliberatamente sabotata dal partner violento. Un ulteriore 53,3% si ritrova a fronteggiare obblighi legali o finanziari imposti dal compagno, intrappolata in una rete di dipendenza economica e controllo.Le riflessioni presentate durante il convegno, con la partecipazione di esperti come Linda Laura Sabbadini (Istat), Giovanna Badalassi (Ladynomics) e Marcella Pirrone (D.i.Re), hanno evidenziato la necessità di un approccio multidisciplinare che integri misure di protezione legale, supporto psicologico e, soprattutto, empowerment economico. La segretaria regionale della Cgil, Isabella Pavolucci, ha posto l’accento sulla problematica del lavoro a tempo parziale, spesso imposto alle donne e che ne limita le opportunità, sollecitando un ripensamento delle politiche del lavoro che favoriscano l’occupazione full-time e concilino le esigenze lavorative con quelle familiari. L’appello al voto ai referendum sull’8 e 9 giugno è stato interpretato come un atto di difesa della propria autonomia e del diritto al lavoro dignitoso.L’avvocato Laica Montanari, figura chiave nel coordinamento dei centri antiviolenza, ha riconosciuto l’impegno regionale, pur sottolineando la necessità di intensificare gli sforzi. L’educazione nelle scuole, le campagne di sensibilizzazione e la promozione di una cultura del rispetto e dell’uguaglianza sono state indicate come azioni imprescindibili per rompere il ciclo della violenza. L’obiettivo è creare una società in cui l’indipendenza economica delle donne non sia un privilegio, ma un diritto garantito e un fondamento della loro sicurezza e libertà. La lotta contro la violenza, quindi, si rivela inestricabilmente legata alla costruzione di una vera parità di genere e alla promozione di un’economia al servizio delle persone, non viceversa.