Il dolore si riversa in un grido digitale, un appello lacerante che squarcia la superficie dei social media. Fiorenza, madre di Martina, la quattordicenne strappata alla vita ad Afragola dalla violenza di un ex, si difende da accuse di distacco, di freddezza percepita. “Mi giudicate fredda, dicono. Come se non provassi il peso insopportabile di questa perdita.” Le parole, concise e cariche di significato, rivelano una verità più complessa, una narrazione che va oltre le apparenze.”La forza che vedete in me,” prosegue Fiorenza, “è il riflesso della sua. Martina mi ha dato la forza. Senza di lei, sarei crollata.” Questo non è un gesto di presunzione, ma un atto di devozione, un modo per onorare la memoria della figlia, che continua a vivere nel cuore della madre e nel ricordo di chi l’ha conosciuta.Il racconto si apre su un passato segnato da sofferenza nascosta. La madre ammette di essere venuta a conoscenza di un episodio di violenza, uno schiaffo, solo poche settimane prima della tragedia. Tuttavia, insiste sul fatto che, nel periodo precedente, Martina appariva serena, apparentemente protetta da un velo di tranquillità che ora appare illusorio.“Immaginate,” implora Fiorenza, “la paura, la sofferenza che mia figlia ha sopportato. Avrà cercato aiuto? Avrà avuto il coraggio di chiamarmi?” Questa domanda è un monito, un appello alla comprensione e alla riflessione sulla complessità delle dinamiche abusive, sulla difficoltà per le vittime di emergere e chiedere aiuto, anche a chi le ama.La confessione più straziante, quella che rivela l’abisso del dolore materno, è l’affermazione: “Io per mia figlia mi sarei fatta uccidere. Era tutto per me.” Questa frase non è un’esagerazione retorica, ma l’espressione cruda di un amore assoluto, di un legame indissolubile che trascende ogni logica e ogni limite. Un amore che si fa barriera, scudo, speranza, e che ora, di fronte alla perdita irreparabile, si trasforma in un grido di dolore e di disperazione.L’ultima frase, “Principessa mia avrai giustizia,” è una promessa, un impegno solenne verso la memoria di Martina. È un atto di speranza in un sistema giudiziario che possa fare luce sulla verità, punire i responsabili e proteggere le vittime di violenza. È un monito per la società, affinché non si limiti a giudicare, ma si impegni a prevenire e a contrastare ogni forma di abuso. È un invito a non dimenticare Martina, a onorare la sua memoria con azioni concrete e a costruire un futuro in cui nessuna altra giovane possa subire una sorte simile. La sua giustizia, non sarà solo una sentenza, ma un cambiamento culturale, un’Italia più sicura e attenta.
Fiorenza, madre di Martina: Io per lei mi sarei fatta uccidere
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