Laura Santi, stimata giornalista perugina di 50 anni, si è spenta nella sua abitazione, lasciando un vuoto profondo nel panorama del giornalismo umbro e nell’ambito dell’attivismo per i diritti di fine vita.
La sua scomparsa, annunciata dall’associazione Luca Coscioni, è attribuibile a una scelta consapevole, un atto estremo compiuto per porre fine a una sofferenza insopportabile, conseguenza di una sclerosi multipla progressiva e debilitante.
La sclerosi multipla, patologia neurodegenerativa cronica, aveva progressivamente eroso la sua qualità di vita, intrappolandola in una spirale di limitazioni fisiche e cognitive sempre più stringenti.
Nei suoi ultimi anni, la malattia aveva assunto un’aggressività particolare, trasformando la quotidianità in un percorso disseminato di dolore e privazioni.
La sua decisione, presa con lucidità e coraggio, rappresenta la dolorosa conclusione di una battaglia lunga e faticosa, combattuta con dignità e resilienza.
Stefano, il marito, è stato un punto di riferimento costante nel suo percorso, condividendo con lei le gioie e le sfide della vita, e sostenendola con amore e dedizione durante gli anni più difficili.
La sua vicinanza è stata essenziale per Laura, offrendole conforto e forza di fronte alle avversità.
Il dolore del marito è immenso, ma comprende e rispetta la scelta della moglie, che ha agito per alleviare le proprie sofferenze e riappropriarsi, almeno simbolicamente, del controllo sulla propria esistenza.
La vicenda di Laura Santi solleva interrogativi profondi e complessi sulla dignità umana, sul diritto di autodeterminazione e sulla necessità di garantire alle persone affette da patologie degenerative la possibilità di scegliere come e quando affrontare il proprio trapasso.
La sua storia si inserisce nel più ampio dibattito sul fine vita, stimolando la riflessione sulla necessità di leggi più chiare e umane, che tutelino i diritti dei pazienti e offrano loro un sostegno adeguato, non solo a livello medico, ma anche psicologico e sociale.
Laura Santi lascia un’eredità di impegno civile e di coraggio, un monito a non dimenticare le fragilità umane e a lavorare per una società più giusta e compassionevole, in cui ogni individuo possa vivere una vita dignitosa, fino alla fine.
Il suo esempio incita a una maggiore consapevolezza sui temi del fine vita e sulla necessità di affrontare con onestà e apertura le questioni etiche e morali che esse sollevano.
La sua voce, spenta troppo presto, continuerà a risuonare nell’impegno di chi lotta per il diritto alla cura e alla dignità per tutti.