La governance della cultura in Italia si trova ad un bivio cruciale, un momento in cui la collaborazione tra Stato e territori si rivela non un’opzione, ma una necessità impellente.
L’affermazione del Vicepresidente della Regione Umbria e Assessore alla Cultura, Tommaso Bori, risuona come un monito e una proposta: la cultura non può essere gestita dall’alto, a prescindere dalle voci e dalle esperienze di chi la plasma quotidianamente sul campo.
La richiesta di un tavolo di confronto istituzionale, condivisa da sette regioni – Umbria, Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Puglia, Sardegna e Valle d’Aosta – non è una semplice rivendicazione di potere, ma una urgente chiamata a ridefinire il rapporto tra il Ministero della Cultura e le autonomie locali.
L’incontro recente con il Sottosegretario Mazzi ha evidenziato una frattura: gli attuali meccanismi decisionali, pur riconoscendo la loro importanza, non producono risultati che riflettano le reali esigenze e le specificità culturali delle diverse realtà regionali.
La critica principale rivolta alle nuove modalità di assegnazione dei fondi non si limita a una mera contestazione burocratica.
Si tratta di un campanello d’allarme che suona per la salvaguardia stessa del tessuto culturale nazionale.
La tendenza a premiare esclusivamente le produzioni a forte incasso rischia di soffocare l’innovazione, di penalizzare il rischio culturale – elemento vitale per l’evoluzione e la sperimentazione – e di escludere i territori periferici, privando comunità intere dell’accesso a opportunità culturali.
Questa visione riduttiva e mercificata della cultura contrasta apertamente con la sua vera essenza: un bene comune, un servizio pubblico che promuove il pluralismo, rafforza l’identità delle comunità e contribuisce al progresso sociale.
La cultura non è, o non dovrebbe essere, unicamente un business, un mero strumento di profitto.
È un investimento nel capitale umano, un motore di sviluppo locale e un pilastro della democrazia.
La richiesta di un tavolo di confronto strutturato e trasparente tra Regioni e Ministero non è un atto di sottomissione, bensì un invito alla corresponsabilità.
Si auspica una revisione critica e partecipata dei criteri di valutazione, l’istituzione di commissioni di esperti imparziali e competenti, e un processo decisionale che tenga conto della complessità e della diversità del panorama culturale italiano.
Le Regioni si dichiarano pronte a collaborare attivamente, a condividere esperienze e competenze, a contribuire alla definizione di politiche culturali efficaci e sostenibili.
Ora, è fondamentale che il Ministero dimostri di ascoltare, di comprendere e di accogliere questa proposta di dialogo costruttivo.
Difendere una cultura pubblica, viva e partecipata significa riconoscere il valore inestimabile del patrimonio immateriale, sostenere la creatività emergente, garantire l’accesso alla cultura a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro posizione geografica o dalle loro condizioni economiche.
Le scelte cruciali per il futuro della cultura non si impongono dall’alto, ma si costruiscono insieme, nel rispetto delle identità locali e nella consapevolezza del bene comune.