Il giorno si vela di un silenzio denso, un’eco sottile di perdita che risuona nell’ombra dello spreco: la morte, ineluttabile, inghiotte vite intere, interrompendo traiettorie inespresse, ambizioni non compiute, amori non vissuti appieno.
Eppure, accanto al dolore, germoglia una gratitudine discreta, un riconoscimento per il breve tratto di strada condiviso, per l’esperienza umana, per la possibilità di aver conosciuto, di aver interagito.
Parole essenziali, quasi sussurrate, quelle rilasciate dall’arcivescovo di Perugia, monsignor Ivan Maffeis, a seguito della scelta di Laura Santi, la cui assistenza al suicidio ha aperto ferite e interrogativi nel tessuto sociale.
L’incontro, avvenuto nell’agosto precedente, si era configurato come un gesto inaspettato, un ponte inatteso tra due mondi apparentemente distanti.
Monsignor Maffeis, senza l’etichetta del suo ruolo ecclesiastico, si era presentato come “don Ivan”, cercando una connessione autentica, un dialogo disinteressato.
La risposta di Laura Santi, diretta e senza fronzoli, aveva immediatamente tracciato i confini del confronto: atea, sbattezzata, fervente sostenitrice dei diritti civili, amante della poesia di Fabrizio De André, aveva posto le fondamenta di un incontro sincero, basato sul rispetto reciproco e sulla volontà di comprensione.
L’immagine che emerge è quella di un uomo che si pone al di là delle barriere istituzionali, un prete giornalista, un filosofo errante in motorino, capace di ascoltare con profonda umanità i dolori e le sofferenze degli altri.
La visita all’hospice di Perugia, il bussare alla porta di Laura Santi, non erano atti di giudizio o di imposizione, ma gesti di vicinanza, di solidarietà silenziosa.
Il dialogo, intenso e commovente, si è consumato nell’ascolto, senza predicazioni, senza riferimenti dogmatici, senza tentativi di indottrinamento.
La frase lapidaria, “Chi sta fuori da queste sofferenze, deve inchinarsi a voi”, rivela una sensibilità profonda, un’umiltà disarmante.
Un riconoscimento della sacralità dell’esperienza individuale, un rispetto assoluto per l’autodeterminazione.
Laura Santi, riflettendo sull’incontro, ha descritto monsignor Maffeis come un uomo libero, profondamente umile, capace di intuire la complessità dell’animo umano.
Non ha cercato di manipolare la sua scelta, non ha tentato di imporre la sua visione del mondo.
Un abbraccio fraterno, il gesto semplice di offrire una borraccia, la disponibilità ad ascoltare senza giudicare, hanno reso quell’incontro un momento di profonda umanità.
La vicenda solleva interrogativi complessi sulla libertà individuale, sul diritto di scegliere, sul ruolo della religione di fronte alla sofferenza e alla morte.
È un invito a superare i pregiudizi, a riconoscere la dignità di ogni essere umano, anche quando le sue scelte ci appaiono incomprensibili o inaccettabili.
È un monito a guardare al di là delle etichette, a cercare la verità nell’incontro sincero con l’altro, a coltivare l’umiltà e la compassione.