La tragica scomparsa del sommozzatore olandese Rob Cornelis Huijben, il 9 maggio scorso durante le delicate operazioni di recupero del veliero Bayesian a Porticello, si configura come un complesso incidente con ramificazioni legali che ora coinvolgono un numero maggiore di figure professionali. L’indagine, condotta dalla Procura di Termini Imerese sotto la direzione del sostituto Raffaele Cammarano e con la collaborazione della procuratrice facente funzioni Concetta Federico, ha esteso la cerchia dei sospetti a Willem Mange Woute, responsabile della sicurezza, e Jeroen Mooij, direttore del cantiere, aggiungendosi all’indagine già in corso nei confronti di De Kam Pieter Leedert Willem, legale rappresentante della Smit Salvage, società olandese per la quale Huijben prestava servizio. Le accuse formulate a carico di tutti gli indagati ruotano attorno a ipotesi di omicidio colposo e violazione delle normative in materia di sicurezza sul lavoro, elementi cruciali per comprendere le dinamiche che hanno portato alla morte del sommozzatore.L’inchiesta ha rivelato elementi inquietanti circa la qualificazione della Smit Salvage per l’esecuzione di lavori subacquei di tale complessità. Contrariamente a quanto precedentemente sostenuto, la società olandese sembra non aver posseduto i requisiti minimi essenziali per operare in un contesto così delicato. Questa carenza si traduceva in una preparazione inadeguata del personale, con una formazione insufficiente per affrontare le sfide specifiche del recupero del Bayesian, e, cosa ancora più grave, nell’assenza di iscrizione al Registro della Regione Siciliana, requisito obbligatorio ai sensi del Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro. La rinuncia della Smit Salvage all’incarico, formalizzata in favore di un’azienda di Olbia, suggerisce una presa di coscienza, seppur tardiva, delle proprie lacune operative.L’evento fatale, culminato nella morte di Huijben, è riconducibile all’innesco di una sacca di idrogeno accumulatasi durante la fase di taglio della cerniera metallica che univa il boma del veliero all’albero maestro di 72 metri. La fiamma ossidrica, strumento utilizzato per la lavorazione, ha agito da innesco, provocando l’esplosione che ha causato il decesso del sommozzatore. Questo incidente solleva interrogativi cruciali sull’applicazione corretta delle procedure operative, sulla valutazione dei rischi associati all’utilizzo di strumenti di taglio in ambienti confinati e sulla supervisione delle attività subacquee. La competenza tecnica, la conoscenza dei protocolli di sicurezza e la capacità di prevedere e mitigare potenziali pericosi si rivelano elementi imprescindibili in contesti come quello del recupero di un veliero di tali dimensioni, e la loro mancanza ha portato a conseguenze tragiche. L’indagine è ora orientata a ricostruire in dettaglio le dinamiche che hanno preceduto l’esplosione, al fine di accertare le responsabilità e prevenire il ripetersi di simili tragedie.