L’omicidio di Martina Carbonaro, tragica irruzione nella quiete di Afragola, non può essere relegato alla cronaca nera come un episodio isolato, un atto di violenza efferata ma circoscritto. Rappresenta, invece, il punto di rottura, la manifestazione più cruenta di una malattia sociale radicata, un cancro che si nutre di dinamiche distorte, di un’interpretazione aberrante dell’amore, del possesso, del rispetto. Come Vittoria Ferdinandi, delegata Anci alle Pari Opportunità, sottolinea con profonda amarezza e ferma determinazione, si tratta di una responsabilità collettiva, un debito morale verso una giovane vita spezzata per aver osato esercitare il diritto inalienabile di dire “no”.La violenza che ha strappato Martina a noi non è un evento casuale, ma il prodotto di una cultura pervasa da una pericolosa confusione: l’amore trasformato in pretesa, il rispetto sostituito dal controllo, l’affetto mascherato dall’egoismo. Un sistema di valori distorto che, purtroppo, affonda le sue radici in secoli di disuguaglianze, di stereotipi di genere, di una narrazione che ha relegato le donne in ruoli subalterni, riducendole a oggetti di desiderio e possesso.Il dolore, indubbiamente profondo, deve essere sublimato in azione concreta. Non è sufficiente esprimere cordoglio e vicinanza alla famiglia, se non si affrontano le cause profonde di questa drammatica spirale di violenza. Ogni istituzione, a partire dai Comuni, deve assumersi la responsabilità di promuovere un cambiamento culturale radicale, un’inversione di rotta che coinvolga l’intera società.L’educazione all’affettività e al rispetto, fin dalla prima infanzia, rappresenta il cardine di questo processo. La scuola, intesa come luogo di formazione non solo intellettuale ma anche emotiva e sociale, deve diventare un laboratorio di consenso, di libertà, di parità di genere. È imperativo che i docenti siano formati adeguatamente per affrontare tematiche delicate come il rispetto, la gestione delle relazioni interpersonali, la prevenzione della violenza. Anche le famiglie, pilastri fondamentali nella crescita dei bambini, necessitano di strumenti e competenze per educare i propri figli a relazioni sane e paritarie.La formazione permanente non deve limitarsi al mondo dell’istruzione. Operatori sociali, psicologi, mediatori culturali, tutti coloro che sono in prima linea nell’assistenza alle vittime di violenza, necessitano di un aggiornamento costante per poter offrire un supporto adeguato e tempestivo.È imprescindibile, altresì, una forte volontà politica, una priorità assoluta per le istituzioni, per mettere al centro delle politiche pubbliche la vita e la libertà delle donne. È necessario incrementare i finanziamenti per i centri antiviolenza, garantire loro una rete di supporto efficace e capillare, assicurare alle vittime percorsi di protezione e di reinserimento sociale.Non possiamo tollerare che l’età delle vittime e degli autori di violenza continui a precipitare, mentre il sistema rimane paralizzato da un immobilismo mortificante. La memoria di Martina Carbonaro, e di tutte le altre donne vittime di violenza, deve essere il motore di un cambiamento profondo e duraturo, un impegno concreto per un futuro in cui nessuna ragazza debba più vivere nella paura, dove il diritto di dire “no” sia riconosciuto e rispettato come un diritto inviolabile. Un futuro, in definitiva, dove l’amore sia sinonimo di rispetto, libertà e uguaglianza.
Martina Carbonaro: un femminicidio, una ferita aperta, un cambio culturale.
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