La questione dei limiti di mandato per i presidenti delle Regioni, lungi dall’essere un mero dettaglio tecnico, si configura come un banco di prova cruciale per la tenuta stessa della coalizione di governo guidata da Giorgia Meloni. L’analisi del governatore campano, Vincenzo De Luca, coglie l’essenza di una potenziale spaccatura che rischia di trascendere la dimensione regionale per investire l’intero panorama politico nazionale.La spinta della Lega a rivedere il quadro normativo attuale, consentendo la ricandidabilità per il quarto mandato, non può essere interpretata superficialmente. Si tratta di un tema che tocca direttamente l’identità e la prospettiva politica del partito, tanto che De Luca ne profetizza la dissoluzione in caso di sconfitte significative in Veneto e Lombardia, due regioni cardine per la sua forza elettorale. Questa affermazione, sebbene drammatica, sottolinea l’importanza strategica che il partito attribuisce alla questione.L’apparente rapidità con cui una decisione del genere potrebbe essere implementata – a detta di De Luca, in tempi brevissimi, quasi a sottolineare la relativa debolezza delle resistenze parlamentari – evidenzia una determinazione che va al di là della semplice volontà di consentire la ricandidatura di figure specifiche. Si intravede la volontà di affermare una linea politica, di testare i limiti della maggioranza e di definire una nuova equazione di potere all’interno della coalizione.L’evoluzione della situazione, così come la percepisce De Luca, suggerisce un’iniziale sottovalutazione da parte del governo, probabilmente accentuata dalla distanza temporale rispetto alla discussione – gennaio – e dalla sua successiva intensità. La gestione del conflitto potenziale, in un contesto di governo complesso e con una Premier chiamata a bilanciare interessi divergenti, rappresenta una sfida delicata.È significativo, in questo scenario, il contrasto tra l’approccio pragmatico e flessibile di Silvio Berlusconi e la presunta percezione da parte di Meloni della potenziale esplosività della questione. La Premier, in questo contesto, si trova a navigare in acque agitate, chiamata a gestire una dinamica interna che rischia di compromettere la stabilità governativa e a contenere le ambizioni di un partito che, pur nell’ambito di una stessa coalizione, rivendica una propria identità e un proprio spazio di manovra. La gestione di questo conflitto latente, più che una questione di regolamenti o di interpretazioni giuridiche, si rivela un vero e proprio esercizio di equilibrio politico.