L’illusione di un’Europa senza frontiere, un ideale proclamato con fervore, si scontra con una realtà ben più complessa e inquietante. Lungi dal dissolversi, le linee di demarcazione, le soglie simboliche e materiali, si riprofilano, mutano forma, ma persistono, alimentando dinamiche di esclusione e gerarchie ingiuste. Non si tratta di un ritorno al passato, ma di una metamorfosi subdola, un’ammissione silenziosa della nostra difficoltà ad abbracciare una convivenza veramente inclusiva.Come osservato dallo scrittore Diego Marani, riprendendo le riflessioni dello storico Michel Foucher, la cartografia del mondo contemporaneo è segnata da una proliferazione allarmante di nuove frontiere. Dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, trenta mila chilometri di linee di confine sono stati tracciati in Europa e Asia centrale, un dato impressionante che si aggiunge ai ventiquattro mila oggetto di accordi provvisori e ai diciotto mila chilometri di barriere ancora in fase di progettazione o realizzazione. Gran Bretagna e Francia si distinguono per la quantità di frontiere che controllano, a testimonianza di una tendenza globalmente diffusa a rinchiudersi, a proteggersi da ciò che percepiscono come “altro”.Questa persistenza di confini non è semplicemente una questione geopolitica; è un sintomo più profondo, un riflesso delle nostre paure, delle nostre ansie, del nostro bisogno di definire “noi” contrapposto a “loro”. La cortina di ferro, che credevamo destinata a scomparire, si manifesta oggi in forme nuove, più sofisticate, ma non meno oppressive. La soluzione, secondo Marani, non risiede in semplici aggiustamenti politici o economici. Richiede una decostruzione radicale dell’idea stessa di Stato-nazione, un artificio politico che, a suo dire, è stato la fonte di innumerevoli tragedie negli ultimi due secoli. Un’entità che, con la sua pretesa di sovranità assoluta, genera inevitabilmente esclusione e conflitto.In luogo di un’identità patriottica fondata sulla difesa di un territorio o di una narrazione mitologica, dovremmo abbracciare un patriottismo dei principi: libertà, stato di diritto, democrazia, pari opportunità. Un’identità che trascende i confini nazionali e che ci lega a una comunità globale fondata sui valori universali. Solo allora potremo aspirare a un mondo veramente libero, giusto e pacifico, un mondo dove le frontiere non siano barriere, ma semplici linee che delimitano aree di attività, non di separazione. Un mondo dove l’umanità, non la nazionalità, sia la nostra bandiera.
Frontiere Invisibili: L’Europa tra Ideali e Realtà.
Pubblicato il
