La recente rappresentazione de “Sigfrido”, terzo capitolo monumentale della Tetralogia “L’anello del Nibelungo” di Richard Wagner, ha suscitato un’ovazione calorosa al Teatro alla Scala, un’accoglienza amplificata da un toccante preludio di messaggi di pace proiettati sul palcoscenico, che si sono intrecciati con citazioni evocative tratte da “Simon Boccanegra” di Verdi, come un monito universale.La performance ha esaltato la maestria della compagnia di canto, guidata dalla direzione impeccabile di Simone Young. Klaus Florian Vogt, nel ruolo di Sigfrido, Wolfgang Ablinger-Sperrhacke nei panni di Mime e Camilla Nylund, nei panni di Brünnhilde, hanno ricevuto particolare apprezzamento per la potenza e la profondità delle loro interpretazioni vocali. Tuttavia, la regia di David McVicar, assente durante gli applausi, ha generato alcune reazioni discordanti tra il pubblico, suscitando un dibattito sulla sua interpretazione della complessa narrazione wagneriana, condiviso con la scenografia di Anne Postlewhite.Se “La Valchiria”, il secondo atto della Tetralogia, aveva immerso gli spettatori in un dramma eroico e intenso, “Sigfrido” introduce un elemento di favolismo e persino di umorismo, soprattutto nel primo atto. L’ambientazione, un groviglio suggestivo che ricorda l’antro di una strega, dove Mime ha cresciuto l’ignaro Sigfrido, offre uno sguardo all’infanzia del protagonista. Qui, il giovane eroe, privo di paura e innocente, è chiamato a forgiare la spada perduta del padre, un atto propiziatorio che lo porterà a confrontarsi con il temibile drago Fafner e a reclamare l’anello d’oro, simbolo di potere assoluto. L’interpretazione visiva del drago, realizzata da McVicar e Postlewhite, ha generato particolare attenzione: una creatura ibrida, un teschio antropomorfo collegato a un corpo e una coda ossute, sostenuti da comparse, che ha offerto un’immagine inquietante e originale. La sconfitta del drago, seguita dall’assunzione del suo sangue, concede a Sigfrido la capacità di comprendere il linguaggio degli uccelli, guide sagge che gli rivelano la via verso la montagna, dove attende Brünnhilde, una valchiria addormentata sotto un incantesimo. Il bacio che risveglia la fanciulla segnerà la scoperta della paura e dell’amore, due forze primordiali che definiscono l’essere umano.Al cuore dell’opera, e dell’intera Tetralogia, risiede la tensione inestricabile tra amore e potere. L’anello del Nibelungo, promessa di dominio assoluto a chi rinuncia all’amore, incarna questa dicotomia fondamentale. Tuttavia, Sigfrido, nella sua innocenza, lo conquista senza comprenderne la maledizione. La sua trasformazione, il suo passaggio alla maturità, avviene attraverso l’incontro con Brünnhilde: lei stessa, condannata da Wotan, il padre e dio supremo, giunge a comprendere la propria mortalità, e il loro amore rappresenta un tentativo di superamento della logica del potere. Questo superamento, tuttavia, si rivela fragile e temporaneo, preludio alla catastrofe che si dispiegherà nel successivo atto, “Il Crepuscolo degli dei”, dove la morte di Sigfrido, di Brünnhilde e la distruzione dell’anello, fonte di eterno conflitto e corruzione, suggelleranno un destino tragico. L’opera, dunque, si configura come una profonda riflessione sulla natura umana, sulla tentazione del potere e sulla forza redentrice dell’amore, un messaggio universale che risuona ben oltre i confini del tempo e dello spazio.
Sigfrido alla Scala: amore, potere e un drago inquietante
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